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Cultura - MusicaStefania Castella

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11 Gennaio 2017
Fabrizio De André. Diciott'anni senza. Tutti proseguimmo a stento
di Stefania Castella



Fabrizio De André. Diciott'anni senza. Tutti proseguimmo a stento
Fabrizio De Andrè

Che cos'è stato Fabrizio De André potrebbe sembrare facile da spiegare a chi ha ascoltato almeno una delle sue composizioni, storie in forma di poesia, cronache in forma di bellezza. Cos'era nei sessanta quando lungo lungo dinoccolato poteva restare imprigionato tra le mura di verità che sbattevano come farfalle senza mai trovare via d’uscita. Troppo sottile la pelle per non sentire i dolori del mondo, e troppo sottili i pensieri per non riversarli dopo aver accolto il dolore dell’ultimo uomo, dell’ultima donna dell’ultimo sorriso di un vecchio di uno storpio una puttana.

 

Che cos’era quello che qualcuno definiva oratore semi borghese, troppo intellettuale per un’Italia a metà tra l’impegno e il dondolio del ritmo dei mitici settanta. Troppo, sempre troppo e sempre in quello che è diventato un manifesto in quella direzione “ostinata e contraria” la voce pastosa la sigaretta perenne, l’amore accartocciato e poi disciolto gli sguardi perduti. E tra le sue dita corde che parlano, fogli che raccontano, sbuffi di vapore impronte e dialetti perduti la poesia di Prévert, le pagine di Edgar Lee Masters.

 

Fabrizio raccoglieva, raccontava; ascoltava e riportava tutte le lingue del mondo, e parlava di ognuno di noi e raccontava ateo un solo credo, e raccontava vivo il, dolore di una madre, e il figlio di un Salvatore che non seppe e non potette salvarsi. Ci lasciava esuli anche noi qualche anno fa, e sembrerà ieri, lo stesso freddo gennaio ma correva l’anno 1999, o così si direbbe in cronaca ma quell'anno non correva, anzi rallentò sbandando, dopo di lui andò lentissimo e quasi all'indietro, pretendendo di riportarlo tra i vivi dove le sue parole sarebbero restate scolpite nella pietra, levigate dall'acqua amica perenne “Dolcenera” ipnotica, ingannatrice, come passava tra i vicoli di Genova, come si ergeva azzurra nei ricordi un po’ amari un po’ indolenti della Sardegna.

 

Acqua nella quale disciogliere il perdono acqua nella quale ritrovare il ricordo. In croce in calce, nelle iniziative che riportano l’eco della sua indimenticabile voce, Fabrizio c’è, e non ha mai smesso di esserci. Rivive nelle rievocazioni del grande Simone Cristicchi che lo ha ricordato proprio nel giorno della scomparsa, presso la Sala Mons. Luigi Petris Centro E. Balducci di Zugliano (UD) con “La Buona Novella” e l’Orchestra Accademia Naonis di Pordenone, il Coro del Friuli Venezia Giulia-Giovani preparato dal Maestro Cristiano Dell’Oste la direzione del Maestro Valter Sivilotti.

 

Rivivrà nello spettacolo “Ho visto Nina Volare” a Torino dal 12 al 15 gennaio al Tangram Teatro Torino, nelle rappresentazioni patrocinate dalla Fondazione Fabrizio De André Onlus che non smettono mai di ricordare e riportare la memoria di un poeta che a diciott'anni di distanza ancora racconta ai giovani che lo ascoltano per la prima volta, e a quelli che sono stati giovani con lui una volta.

 

«Lessi Croce, l'Estetica, dove dice che tutti gli italiani fino a diciotto anni possono diventare poeti, dopo i diciotto chi continua a scrivere poesie o è un poeta vero o è un cretino. Io, poeta vero non lo ero. Cretino nemmeno. Ho scelto la via di mezzo: cantante» F. De André,

 

E tutti noi dopo di lui, senza di lui, continuammo a stento.








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