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Cultura - SocietàGianni Pezzano

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30 Settembre 2016
Il soggetto mancante
di Gianni Pezzano



Il soggetto mancante
Jersey Boys

Nelle ultime settimane abbiamo rivisto  il film americano “Il mio grosso, grasso, matrimonio greco”, un film di grande successo ispirato dalle esperienze personali dell’attrice Nia Vardalos che sul palco e sullo schermo racconta le sue esperienze essendo cresciuta in una famiglia di immigrati greci negli Stati Uniti. Allo stesso modo “Almanya”, della regista tedesca di origine turca Yasemin Samdarelli,  racconta la vita della sua famiglia nel corso di tre generazioni in Germania.

 

Qui in Italia abbiamo avuto film che hanno raccontato esperienze di emigrati italiani all'estero. Probabilmente il più riuscito è “Pane e cioccolata” con un magistrale Nino Manfredi che racconta la storia di un  italiano che cerca disperatamente di ottenere il visto di soggiorno in Svizzera. Due altri film raccontano aspetti della vita degli emigrati in America con “L’emigrante” interpretato da Adriano Celentano e “La Mortadella” con Sophia Loren. Nel film di Celentano la scena più potente è quando vediamo cosa voleva veramente dire passare per Ellis Island.

 

Bisogna nominare poi due film ambientati in Australia. Il primo è conosciutissimo con Alberto Sordi e Claudia Cardinale, “Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata”. Il secondo invece è poco conosciuto in Italia “They’re a wierd mob” con Walter Chiari tratto da il romanzo omonimo del cosiddetto Nino Culotta, il protagonista del film interpretato da Chiari, che poi era il nom de plume dell’autore australiano John O’Grady.

 

Tutti film legittimi  e con varie misure di successo, ma con un punto in comune, le storie raccontate, a differenza dei due film stranieri nominati nell'introduzione, raccontano le storie viste dall'esterno, senza i riferimenti e i punti personali di chi ha davvero vissuto l’esperienza di emigrare all'estero, oppure di crescere in una famiglia immigrata.

 

In certo senso queste storie sono già raccontate da registi stranieri e particolarmente negli Stati Uniti. Il secondo film della serie del Padrino di Francis Ford Coppola, come anche il film “Jersey Boys” del regista Clint Eastwood, il film biografico del cantante italo americano Frankie Valli, dimostrano aspetti della vita degli immigrati in quel paese nei periodi storici raccontati.

 

Per chi non è nato all'estero e cresciuto in quelle esperienze, i film italiani non raccontano molti aspetti della nostra vita e alcune realtà che nemmeno sono nominate. Un esempio particolare nella tradizione italiana dove il film viene doppiato interamente, è che non ci fa rendere conto che gli immigrati parlano due lingue nel corso del giorno. La loro versione della lingua italiana in casa e la lingua del paese di residenza a lavoro e a fare la spesa. Nei film di Coppola e di Eastwood, il linguaggio tipicamente italo-americano si sente in ogni scena, particolarmente nel film di Eastwood dove l’accento ed le espressioni sono specifici del New Jersey dove il film è principalmente ambientato.

 

Il cinema e la televisione in Italia in effetti non si rendono conto che ci sono storie importanti da raccontare sulle esperienze dei nostri connazionali e dei loro discendenti. Storie poi che hanno anche il potenziale per aiutarci a capire come meglio integrare gli immigrati che ora abitano nel Bel Paese.

 

Sarebbe facile dire che tutte le storie sono uguali, ma sarebbe una reazione sciocca perché, benché ci siano  esperienze e temi in comune, ogni comunità ha esperienze particolari per ciascuna di loro.

 

Le più facili da identificare sono quelle americane che già abbiamo visto nei film di Coppola ed Eastwood, ma ci sono altri aspetti della vita degli italiani che sono poco conosciuti qui come il tradizionale antagonismo non solo dei protestanti verso gli italiani cattolici, ma anche dei preti cattolici irlandesi che apertamente disprezzavano le usanze religiose italiane. Infatti, questi sono temi che si trovano in tutti i paesi anglosassoni e dunque protestanti, compresa l’Australia dove sono nato e cresciuto.

 

Nel caso delle esperienze australiane, pochi in Italia ora sanno che molti emigrati italiani hanno dovuto passare del tempo in campi di lavoro dedicati a loro nella campagna prima di poter proseguire nelle grandi città. Il più famoso di questi campi si chiamava Bonegilla dove, tra il 1947 e il 1971, ci sono passati oltre trecentomila immgrati, italiani e non. Allo stesso modo, i nostri connazionali in Sud America hanno avuto moltissime difficoltà a causa delle condizioni politiche tesissime in quei paesi.

 

Ci sono tantissime storie da raccontare prima al pubblico italiano e poi al resto del mondo come hanno fatto i primi due film citati. Nelle mani di registi bravi e di scenografi abili nei temi di vita trattati, che poi sono i temi di vita di noi tutti con problemi e soluzioni particolari e che sono condivisibili dal mondo intero.

 

Ma non facciamo lo sbaglio di trattare i luoghi comuni e stiamo attenti a trattare le esperienze vere. Incoraggiamo gli emigrati e i loro figli e nipoti a scrivere e raccontare quel che hanno veramente vissuto. Non vergogniamoci dei nostri sbagli, o passi falsi, ma facciamo vedere quel che vuol dire in verità vivere in due mondi, quello della casa e il mondo della scuola o del lavoro.

 

Facciamo vedere come semplici parole potevano scatenare litigi feroci come a volte succedeva quando in Australia un italiano diceva “basta” per cercare di tagliare corto una discussione e invece l’interlocutore australiano sentiva “bastard” e rispondeva con i pugni. Dimostriamo i consueti scontri tra generazioni resi ancora più aspri perché i ragazzi italiani dovevano obbedire a regole all'italiana invece di avere la presunta libertà dei loro coetanei autoctoni. Poi, facciamo vedere non solo chi ha avuto successo all'estero, ma anche chi e perché ci sono quelli che hanno fallito, oppure sono tornati in Patria perché incapaci di integrarsi nel mondo nuovo.

 

Il cinema e la televisione hanno tutto il potenziale per raccontare queste storie, come anche il mondo dell’editoria. Ma finora, gli sforzi in questa direzione sono stati relativamente pochi. Sarebbe bello vedere collaborazioni tra registi e scenografi italiani con enti e personaggi all'estero capaci di presentare queste storie in modo autentico e verace.

 

Però, sarebbe ancora più bello vedere soprattutto la partecipazione del Museo Nazionale dell’Emigrazione Italiana nei progetti più importanti perché raccontare queste storie è un atto dovuto verso i milioni di emigrati che con i loro soldi e sforzi hanno dato un contributo economico enorme all'Italia. Un contributo che disgraziatamente è stato ovviamente scordato quando vediamo la facilità con cui governi italiani, di tutti i partiti, tagliano i fondi destinati all'estero per l’insegnamento della lingua italiana e la promozione della Cultura italiana.

 

Riscopriamo questo soggetto che abbiamo perso per strada e impariamo come paese le storie che non abbiamo mai saputo e alla fine, meravigliamoci delle imprese fatte dai nostri amici e parenti che sono andati all'estero, anche per aiutare le loro famiglie rimaste in Patria.








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