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Cultura - SocietàStefania Castella

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13 Gennaio 2021
Stefania Formicola uccisa dal marito. I figli porteranno il suo cognome
di Stefania Castella



Stefania Formicola uccisa dal marito. I figli porteranno il suo cognome
Stefania Formicola

Un colpo di pistola al cuore spegneva per sempre il sorriso di Stefania Formicola giovane madre uccisa dalle mani del marito. Oggi i suoi figli porteranno il suo cognome. Una vittoria che rappresenta una piccola carezza per i suoi genitori e per i piccoli rimasti orfani dell’amore più grande.

 

-Mia figlia era bellissima. Aveva tanti sogni. Lui li ha cancellati tutti. -

-Sono Adriana Esposito. Sono la mamma di Stefania. - Comincia così il racconto di Adriana che porta addosso una croce difficile da sostenere. Certi dolori sono impossibili da sopportare, perdere un figlio è un male atroce, perderlo in modo violento, così come è successo a questa madre, è qualcosa che ti svuota: -È come se non esistessi più, tutto quello che faccio è per i miei nipoti, perché abbiano una vita serena. - E una vita serena non è cosa semplice per questa madre la cui voce sembra essere la voce di tutte le madri che urlano contro una violenza continua, imperterrita, che non smetteremo mai di ribadire, non è mai in nessun modo legata all’amore ma al possesso, alla morbosità, qualcosa che troppo spesso finisce in modo tragico come nel caso di Stefania Formicola la cui vita è ferma da quel mattino in cui dall’auto che l’avrebbe condotta a lavorare, non è più uscita viva.

Adriana come raccontare la storia di sua figlia Stefania?

-È cominciato o meglio è finito tutto il 19 ottobre del 2016. Dopo una lunga relazione mia figlia nonostante le dicessimo tutti che quello era un amore malato, aveva deciso di sposarlo, si sentiva come una crocerossina convinta di poterlo cambiare, ma nessuno cambia. Quel giorno lui metteva fine a tutti i suoi sogni-

Lei da madre si era accorta che qualcosa non andava?

-Io sentivo il suo malessere. Lui era geloso, le impediva di vedere le amiche, le controllava il cellulare. Mia figlia cercava di rassicurarmi, quando le chiedevo il perché di certi atteggiamenti cercava in tutti i modi di non farmi preoccupare. -

Qualcosa però non la convinceva

-Mia figlia era bellissima, lo dico non perché era mia figlia. I suoi colori naturali, la sua semplicità. Si truccava molto poco. Capitava però sempre più spesso, di vederla truccata in modo pesante, quando chiedevo, faceva finta di niente. Ho capito dopo che lo faceva per nascondere segni e lividi. -

Non ha mai parlato con nessuno di voi all’epoca?

-Lui le impediva di farlo. Non voleva che parlasse con la sorella, cercava di farle tagliare i ponti con tutti. Anche a me voleva impedire i contatti, aveva intuito che io non vedevo di buon occhio la loro storia. Combatteva con me come un nemico e in questa guerra la prima battaglia l’ha vinta quando si sono sposati. Nonostante i primi tempi vivessero con noi, lui sentiva di avere ancora più potere su di lei. Quando sono arrivati i bimbi ancora di più. -

Stefania dipendeva dal marito

-Si ed è una cosa che crea una spirale che stringe sempre più. Quando sono andati a vivere in un altro appartamento, la situazione economica complicava ancora di più le cose. Lui non lavorava. Noi continuavamo ad aiutarli, e lei ha deciso di riprendere in mano la sua vita. Era una ragazza intelligente, aveva tanti progetti, sognava di arruolarsi, di studiare criminologia, di crescere i suoi figli nell’amore di una famiglia. Quando ha trovato lavoro in una clinica privata, una residenza per anziani, è stata per poco, finalmente felice e realizzata. -

L’ha vista più serena?

-Vedevo che aveva finalmente quella vita che non aveva vissuto fino ad allora. Poteva pagare l’affitto, comprare piccole cose per casa, cose che magari desiderava e non aveva mai potuto avere, mai neanche chiesto. Rinasceva e lui questo non lo poteva sopportare. -

Per lui era come perderne il controllo

-E peggiorava perché si stavano sciogliendo le catene, gli sfuggiva la preda. Era sempre più arrabbiato. La maltrattava anche davanti ai figli. Un giorno mia figlia mi ha chiamata, doveva averne prese tante, mi ha detto: “Mamma aiutami”. Potete immaginare come ci siamo sentiti. L’abbiamo portata a casa, ci siamo messi in moto per la separazione, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso -

Cosa è successo in quei giorni?

-Lui ha cominciato a tramare. In quindici giorni ha organizzato ogni cosa. Ha svuotato casa portando via tutte le sue cose. Aveva in progetto di fare una strage cominciando da mio marito, era convinto che Stefania fosse condizionata dal padre, e lo odiava forse perché tra loro due c’era quell’affetto, quell’amore che solo tra un padre e una figlia c’è. -

Com’era Stefania in quel lasso di tempo?

-Nei giorni in cui è stata con noi Stefania mi raccontava di tutti i soprusi, le botte, le persecuzioni. Intanto continuava a lavorare, si sentiva tranquilla perché i bimbi erano con noi. Lavorava tanto per i suoi figli, voleva a tutti i costi comprare una cameretta, tutta blu, come loro desideravano. Quella cameretta è ancora qui, non c’entra niente con tutto il resto della casa ma io la tengo qui, dico ai bimbi che quello è il regalo della loro mamma. È il sacrificio, l’ultimo fatto da Stefania per loro. -

Cosa ricorda di quella mattina?

-Che è stato un po' come il classico ultimo appuntamento, e io dico sempre che nessuno dovrebbe accettare l’ultimo appuntamento. In qualche modo lui continuava a tempestarla di telefonate e come sempre faceva il coccodrillo, che prima mangia i figli e poi piange. Dopo ogni violenza tornava a testa bassa a farsi perdonare, chiedeva scusa a lei a noi, e continuava peggio di prima. Quella mattina lei aveva cambiato turno con una collega, lui conosceva orari e spostamenti. Si è infilato in auto. Quando alle sette di mattina da lavoro ci hanno chiamati per sapere perché mai Stefania fosse in ritardo, abbiamo capito tutto. -

Come ha fatto con i bimbi?

-Il più grande aveva quattro anni. Lui sapeva, sentiva, era lì quando la mamma veniva maltrattata. Ho cercato di inventare una storia, gli ho detto che Gesù aveva chiesto in prestito la sua mamma per aiutare certi angioletti a curare i vecchietti come solo lei sapeva fare. Lui in un primo tempo ci ha creduto, poi ha cominciato a chiedere perché Gesù non “me la riporta indietro, gli angeli avranno imparato ormai?” - Ho capito che avevo bisogno di un sostegno, ci siamo fatti aiutare con un percorso psicologico. Anche per il piccolino che non ricorda nulla della sua mamma. -

Lui invece?

- Ergastolo, confermato in tutti e tre gradi, anche in cassazione. Se penso a tante altre storie mi ritengo fortunata, siamo riusciti a tenere con noi i bambini, in quattro anni abbiamo ottenuto una vittoria che non ci riporterà Stefania ma ci aiuterà ad alleviare un po' il dolore. Tengo a ringraziare tutte le persone che ci hanno aiutato in questi anni, il lavoro degli avvocati Nino Longobardi e Pierpaolo Damiano. L’avvocato Raffaele Chiummariello che ci ha aiutati quando lui, l’omicida, ha accusato mio marito di minacce e di aver attentato alla sua vita. Accuse infondate naturalmente che aggiungevano dolore al dolore. Ci tengo a ringraziare tutti, avvocati e associazioni che ci hanno dato molto professionalmente ma soprattutto umanamente. -

Oggi l’ennesima vittoria, i suoi nipoti porteranno il cognome della madre

-Non aveva senso che portassero un nome che gli aveva procurato solo dolore, è una vittoria che per noi conta tanto, come mettere un punto fermo e proseguire da qui in avanti in nome di mia figlia. -

La parola dell’esperta

Esperta in criminologia e criminalistica, della tutela dei diritti umani e specializzata nel settore della violenza di genere Antonella Formicola nel collegio difensivo che si è occupato del caso di Stefania Formicola ha vissuto questa vicenda atroce come professionista e come donna coinvolta da un legame di sangue con la vittima. «Nella sentenza di questi giorni, rivedevo le immagini dei funerali di mia nipote, ho pianto tanto e nonostante lavori da tempo al fianco delle donne, sento profondamente ogni dolore di queste vittime che sono sempre con me. Stefania poi era il mio angelo, la mia famiglia, il mio sangue, mio padre ha i suoi occhi. Come professionista, come donna, sono distrutta da questa storia. Spero che i bimbi abbiano un po' di serenità»

Il caso di Stefania ha tanto in comune con quello di molte vittime di femminicidio

-Come tutti i casi di femminicidio anche in questo caso lui inizialmente sembra un ragazzo per bene, la sua mostruosità viene fuori via via con l’esasperante possesso, la gelosia morbosa, il controllo, la volontà di fare terra bruciata intorno alla sua vittima. Era geloso della vitalità di Stefania e ha cercato con una sempre più forte violenza psicologica e fisica, di spegnerla. Dal canto suo Stefania era innamorata di lui, non riusciva a lasciarlo, a denunciarlo. Solo dopo il secondo bambino ha trovato la forza, con il sostengo della famiglia, di denunciare, di cercare di riprendersi la sua vita. Lui ha finto di essere accondiscendente, parlava di una separazione civile per amore dei bambini, il giorno dell’omicidio l’ha aspettata, con una scusa è entrato in auto le ha sparato un colpo al cuore, Stefania è morta sul colpo. Una tragedia infinita terminata con la condanna all’ergastolo dello scorso anno e culminata con la sentenza della Prefettura di Napoli che ha premiato la battaglia di Adriana, suo marito Luigi, e dei piccoli Mario e Luigi che porteranno il cognome della madre. -

Una sentenza che è una vittoria in nome di tante vittime dello stesso dolore

-È una vittoria si, e una battaglia di civiltà in questo caso per i figli di mia nipote che sono liberi da un macigno, dall’ombra di un padre che non era che un uomo pericoloso. Un uomo che non ha amato la loro madre non ha amato nemmeno loro privandoli per sempre della loro mamma. -

Un uomo dall’atteggiamento comune a quello di molti altri?

-Soggetti che non accettano la sconfitta, che pensano “meglio morta che con un altro”. Che non pensano al dolore che provocano. Stefania a 28 anni ha smesso di vivere da quattro anni, i suoi bimbi domani dovranno affrontare un dramma che non si può immaginare. Ma ci sono tanti casi in cui questi orfani per ragioni economiche sono affidati a case famiglia perché non possono restare in un nucleo familiare che non potrebbe neanche sfamarli. Sono anni che mi batto perché si istituisca un indennizzo mensile che assicuri a tanti piccoli orfani una crescita e un futuro dignitosi. Ci sono fondi regionali, la Campania ha a cuore queste realtà, ma c’è ancora tanto da fare per supportare queste situazioni estreme e per prevenirle. C’è da rafforzare i centri di ascolto anti violenza, da sostenere le donne perché possano rendersi indipendenti economicamente, il lavoro è il primo passo da fare per renderle libere e non più schiave di certi meccanismi. I figli di mia nipote possono contare sull’amore di una famiglia, non è così per tutti, e c’è bisogno di tenere sempre gli occhi aperti e puntati su queste realtà che in questi mesi di pandemia sono anche purtroppo peggiorate. Molte donne sono rimaste chiuse in casa con i loro aguzzini, non dimentichiamo di combattere per ognuna di loro. -








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