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 05 Ottobre 2010
 L'ultimo dominatore dell'aria
 di Alice de Carli Enrico
 
 
 
 |  Non sono pochi ad affermare che "L’ultimo dominatore dell’anno", l’ultimo lavoro di Night Shyalaman, sia un flop totale da tutti i punti di vista. Critiche continuano a serpeggiare in ogni dove e in ogni Paese, mettendo decisamente in dubbio che il film, il primo di una preannunciata trilogia, possa di fatto guadagnarsi un sequel. La pellicola è un adattamento cinematografico del cartone animato statunitense "Avatar – La leggenda di Aang" e racconta l’avventura di un bambino, Aang, dotato di particolari poteri e unico superstite del popolo dei Nomadi dell’Aria in un mondo dove ogni elemento è caratteristico di un regno e delle genti che lo abitano. Si preannunciava un film fortemente epico, caratterizzato da scontri titanici e da una miriade di effetti speciali. Come dimostrano i risultati ai botteghini e le aspre parole di delusione di fan e critici mostrano invece che il risultato non ha rispecchiato le aspettative. 
 Perché? Avrebbe dovuto essere un colossal, ma non lo è. Aang è un eroe insicuro e traballante, i suoi compagni di viaggio risultano più deboli che portentosi e sicuramente questo stona con l’impostazione e la presentazione della pellicola. Tuttavia, l’iniziale perplessità può velocemente lasciare spazio all’ammirazione. Se non ci si lascia trasportare e distaccare dal film da un primo sconcerto, "L’ultimo dominatore dell’aria" cattura lo spettatore, quelle espressioni atipiche e quella tempistica così sbagliata si trasformano assumendo i contorni del "profondamente umano". Quello che Shyamalan è riuscito a fare è creare un eroe che non mostra la propria umanità per quel ‘distacco che deve creare da coloro che ama per non metterli in pericolo’ e neppure per la sua presunta fallibilità. Aang è un bambino e, come tale, in crescita. È goffo, dubbioso, insicuro e, soprattutto, non conosce ancora né se stesso né il mondo. Chi lo circonda non sono persone sagge e forti, ma altri essere umani come lui: semplicemente imperfetti.
 
 Shyamalan non ha confezionato un film degno di una trilogia, ma un capolavoro dell’antiepopea.
 
 
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