 “Sulla mia pelle”, film prodotto da Netflix in concorso alla 75° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, esce sulla piattaforma digitale e nella sale.
L’esperimento segna una svolta decisiva per la fruizione della settima arte.
Il pubblico potrà godersi la pellicola dal divano di casa, lo stesso potrà fare il proprietario del Cinema di quartiere. Vi è una perdita in questo passaggio di consegne. Non mi riferisco solo a quella economica, seppur considerevole, patita dalle sale cinematografiche.
L’immagine è ciò che manca. Non nel film di Alessio Cremonini, magistralmente concepito e realizzato grazie anche all’interpretazione di Alessandro Borghi, ma nel dispositivo dal quale lo guardiamo: sia esso un computer da 13 pollici o una televisione 4k. Le dimensioni di uno schermo domestico non sono paragonabili a quella possibili in un Cinema.
Deleuze nei suoi saggi sul cinema tratta della gigantesca immagine cinematografica che si impone sullo spettatore. L’immagine lo sovrasta e lo coinvolge in una danza di colore alimentata dai pesanti suoni che si spandono in ogni lato della sala. Questa è l’illusione che serve. Artaud che sotto le poltrone del suo teatro nascondeva balsami fetenti elevando al cubo le sensazioni percepibili.
“Sulla mia pelle”, in sintesi è un gran bel film, per struttura, tempi e contenuto e il mio spassionato consiglio è d’andarlo a vedere nella sala più vicina.
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