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Cultura - MusicaStefania Castella

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22 Dicembre 2014
John Lennon illudici ancora che the War is over
di Stefania Castella



John Lennon illudici ancora che the War is over
Lennon e Yoko Ono

Se ti avessero dato quella Chance che cantavi per la pace, forse adesso saresti ancora su un palco, avresti una lunga barba bianca e probabilmente ancora lei al tuo fianco, quella che avevi per un attimo perduto, e poi ritrovato. La piccolina giapponese, artista d'avanguardia, che non piaceva molto a tutti quelli che dicevano che un po’ ti aveva cambiato. Una chance alla pace, cantavi John Winston Lennon, proprio tu che di turbolenze ne avevi attraversate tante. C'erano anche quando sei nato sui cieli anneriti dagli aeroplani tedeschi che ruotavano sull'Hospital di Liverpool quel pomeriggio d’autunno. Era il 9 di ottobre, e quel 1940, era ancora l'alba degli scossoni mondiali che si sarebbero succeduti. Perché ricordare te? Perché il tuo pezzo (War is over), Happy Xmas, è la pacifista più rappresentativa, tra tutti i tuoi pezzi è la canzone che accompagna il Natale, da quando è stata composta. Magari oggi, molto più di ieri, perché John da quando sei andato via, sei andato direttamente dalla terra al cuore del mondo. "Non ho paura di morire" dicevi, e chissà se ti sei accorto di quell'ombra, gli avevi firmato un autografo poco prima, Mark Chapman si chiamava, ha detto "Hey mr. Lennon, sta per entrare nella storia" ed era vero. Un colpo è andato a vuoto, gli altri quattro, lo avrebbero potuto seguire, se quel Dio a cui dicevi di non credere (poi forse non era così) ti avesse voluto dare quella fatidica, unica, chance. Barcollando hai detto "mi hanno sparato". Alle 23.09. La storia forse finiva lì, ma probabilmente da lì iniziava. Che strano John tornavi per ricominciare, dopo aver detto al mondo addio, per fare solo il padre, improvvisamente tornavi, era da almeno cinque anni che non veniva fuori niente. Poi "Just Like Starting Over", come ricominciare ancora daccapo, dopo il mito del gruppo, dopo i problemi con i servizi segreti, con la droga, tutto daccapo. C’era tanto materiale, ce n'era tanto da farne due dischi, uno, quel "Double Fantasy" che avevi autografato a lui, a quel David, che avrebbe deciso la tua sorte, il tuo futuro. "C'erano una volta tre ragazzini chiamati John, Giorgio e Paul battezzati nel Signore, decisero di mettersi insieme perché erano proprio tipi da stare insieme. Quando furono insieme si chiesero: ma dopotutto per fare che siamo insieme? Così improvvisamente preso su tre chitarre, ricominciarono a fare rumore." Queste erano le tue parole, le tue divagazioni su quei Beatles. Badate bene, non semplici scarafaggi (beetles) ma con la A, “Beatles”, da Beat figli di quella generazione, che era il mondo a quell'epoca. Ragazzi dotati, grandi intese, anni di successi. I mitici anni sessanta. Un vortice che stordisce, tanto da ingoiare tutto. Tanto da smettere di riconoscersi nella figura del baronetto tanto caro al mondo e alla Regina. Certo non tutto quello che sembra facile lo è veramente. Non è facile scrivere, non è facile condividere, e nemmeno convivere. Forse colpa tua, forse colpa di quell'incontro con la donna che ti avrebbe fulminato, lasciare una moglie, far coesistere insieme Yoko e le altre donne del gruppo. Molti accusavano te, della drastica separazione che il mondo non avrebbe mai voluto. Ma oramai le strade erano battute, e divise. Quello che è stato dopo, tra un album e l’altro; le manifestazioni pacifiste, le raccolte di amici, fotografi, fan, intorno a quel letto di Bed-ins, e quel “Give peace a chance” bandiere contro Nixon e la guerra in Vietnam. Lennon non è più solo un cantante, è un rappresentante, portavoce, simbolo. Forse Lennon è morto solo e semplicemente per il fatto di essere Lennon. Guardando i tuoi occhi cantare oggi, mi chiedo se ci credevi veramente alle parole suonate al piano. Immaginare “la gente vivere in pace” “Nessuno per cui uccidere o morire, nessuna religione, immagina tutta la gente vivere una vita in pace. Puoi darmi del sognatore ma non sono il solo…” “Imagine” per qualcuno un’evocazione, quasi un inno, forse solo un sogno visionario. Immaginare un mondo senza avidità dove la gente, il mondo se lo divide. E gli anni insieme al gruppo erano già ricordo. E l’Italia del tempo, non capiva ancora. Oggi, che la cantiamo che la ascoltiamo, forse riusciamo a sentirla più di quel tempo. Oggi che risuona ancora, quando ci sarà un altro Natale, e ritornerà la tua voce, a cantarci che “La guerra è finita”, ancora ascolteremo le parole scelte per muovere stati d’animo. Ma credere al sogno dei sognatori, non è facile. Il tuo animo scontroso, il tuo sguardo un po’ chiuso un po’ fiero, un nuovo giorno di festa. Vorremmo crederci, veramente, che quello che cantavi potesse essere palpabile. Così, ora che ti saluto, che mi sono presa la libertà di darti del tu, ti chiedo di illuderci ancora, oggi che le guerre no, che non sono finite, illudici ancora, lasciaci credere, che non sia Natale solo per un giorno. Quel giorno a Central Park, era l’otto di dicembre, erano i mitici anni ottanta. Quel giorno a Central Park, la mano dell’uomo ti ha lasciato per terra, ma vogliamo credere ai tuoi sogni di pace ancora “You may say i’ m a dreamer but i’ m not the only one”.








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