Rss di IlGiornaleWebScrivi a IlGiornaleWebFai di IlGiornaleWeb la tua home page
Martedì 21 maggio 2024    redazione   newsletter   login
CERCA   In IlGiornaleWeb    In Google
IlGiornaleWeb

Cultura - SocietàGianni Pezzano

CONDIVIDImyspacegooglediggtwitterdelicious invia ad un amicoversione per la stampa

05 Luglio 2016
La Storia che non muore mai
di Gianni Pezzano


La Storia che non muore mai

C’è ancora una legione romana che gira l’Europa. La Legio I Italica fa il giro delle rievocazioni storiche e nel corso degli anni ha fatto parte di molte grandissime manifestazioni importanti. L’anno scorso ha postato sul social media foto della loro visita al Vallo di Adriano tra l’Inghilterra e la Scozia, sembrava quasi di vedere foto scattate da una macchina del tempo.

 

Senza dubbio si sono incontrati con i loro colleghi francesi che celebrano le imprese del grande guerriero gallico Vercingetorige e altri popoli che hanno combattuto conto i romani originali. Allo stesso modo ci sono le rievocazioni della sconfitta di Napoleone a Waterloo, la battaglia di Gettysburg negli Stati Uniti e tante altre battaglie che ora fanno parte delle estati in vari paesi dove turisti fanno la fila per sentire l’ombra della loro Storia.

 

Però nel ricordare questi episodi importanti in un clima di bancarelle di souvenir e di cibo, dove le lotte sono pulite e senza feriti, il pubblico scorda i due fatti essenziali che tragicamente si riflettono nelle nostre cronache quotidiane.

 

Il primo fatto è quello più banale, la Storia non è scritta con carta e inchiostro. La Storia è scritta con la vita e il sangue dei suoi protagonisti e i loro seguaci. Tutti ricordano Napoleone, Giulio Cesare, Carlo Martello, Saladino e gli altri grandi guerrieri, ma quanti di noi possono nominare un solo soldato caduto in una loro battaglia? Quanti di noi sanno quanti morti innocenti ci furono nelle invasioni e nelle razzie che leggiamo nei libri di Storia? La risposta è ovvia.

 

Il secondo fatto che spesso non riusciamo a capire mentre guardiamo i guerrieri cercare di replicare le tattiche del passato è che per molte persone, in tutti i continenti, gli episodi rievocati come divertimento turistico, oppure descritti nei libri di Storia non appartengono al passato, ma fanno ancora parte dei pensieri e dunque del loro comportamento quotidiano. Per questi milioni di persone la Storia non muore mai e la vivono ancora.

 

Abbiamo avuto una prova interessante di questo fenomeno negli Stati Uniti l’anno scorso in seguito alla strage di Charleston dove un suprematista bianco uccise nove cittadini di colore in una chiesa. La strage spinse vari governi statali a rimuovere la bandiera degli Stati Confederati dalle loro bandiere statali e palazzi governativi. Erano visti dalla maggioranza come simbolo dei difensori della schiavitù che scatenò la Guerra di Secessione ricordata nella rievocazione della Battaglia di Gettysburg, mentre una minoranza locale riteneva la bandiera come simbolo del loro patrimonio storico.

 

La tragedie che vediamo troppo spesso inerenti al trattamento di gente di colore in quel paese ancora oggi nei telegiornali e nelle cronache dimostrano chiaramente che per alcuni le lezioni di quella guerra fratricida non sono ancora state capite dai discendenti dei soldati del sud.

 

Il referendum dell’indipendenza della Scozia, i tentativi dei catalani e  dei baschi di indipendenza dalla Spagna, come anche una parte della popolazione del Sud Tirolo in Italia che vuole tornare con l’Austria sono solo tre esempi dove al Storia non ha ancora dato la parola finale alla sorte delle popolazioni. Purtroppo, abbiamo anche un esempio di guerra vera, anche se attualmente in fase di stasi, nello scontro tra la Russia e l’Ucraina che non è altro che la continuazione di scontri secolari tra i due paesi.

 

Pensare agli esempi dell’Europa e degli Stati Uniti ci da un metro con cui considerare quel che vediamo fin troppo spesso sulle prime pagine dei nostri giornali e nei telegiornali, l’ultimo dei quali è stata la strage di Dacca del weekend scorso. In tutti i continenti ci sono troppe persone per le quali la Storia rimane una scusa per continuare a combattere e a uccidere innocenti. Purtroppo il seguito di quella strage ha dato prova di come certe parole hanno ancora il potere di scatenare i fanatici.

 

Negli anni dopo l’11 settembre 2011 Osama Bin Laden utilizzava una parola per descrivere tutti gli occidentali che lui considerava gli sfruttatori e la rovina dei paesi musulmani. Ripeteva di discorso in discorso la parola che, tragicamente abbiamo sentito di nuovo, ma con un accento bengali, in seguito ai morti della strage. Questa parola è “crociati”.

 

Con quella parola Bin Laden e chi lo imita incita i ricordi di episodi di quasi mille anni fa. Nel sentirla pronunciata da uno dei fanatici per descrivere le loro vittime sappiamo che tutto il mondo ha il dovere e l’obbligo di finalmente affrontare a viso aperto e senza esitazione i ricordi, a volte veri e a volte manipolati dalle popolazioni che ritengono d’aver subito torti storici che devono ancora vendicare.

 

Stranamente abbiamo sentito frasi del genere riferite da tre gruppi in uno scontro europeo nel recente passato. Nei Balcani negli anni dopo il crollo della Jugoslavia e particolarmente in seguito alla creazione del Kosovo i cattolici, gli ortodossi e i musulmani protagonisti delle stragi e gli orrori hanno tutti evocato episodi di secoli fa per giustificare gli orrori che loro commettevano.

 

Ci sono minoranze in ogni continente, senza eccezione, che rivendicano i torti subiti nel corso della loro Storia. Utilizzando l’esempio dell’India, negli ultimi decenni abbiamo visto stragi a moschee e templi indù e in un caso nel 1992 celebre ad Ayodhya la maggioranza musulmana del paese ha “spontaneamente” demolito la moschea di Babry con la giustificazione che la moschea era stata costruita sul luogo di un loro tempio al dio Lord Ram e demolito dai Moghul nel 1528. Si dice che la vendetta viene servita fredda e in quel caso dopo 470 anni hanno davvero servito un piatto gelido. In seguito si è saputo che i veri istigatori della demolizione erano dirigenti di tre partiti nazionalisti indù per motivi politici interni.

 

Disgraziatamente, quando abbiamo tragedie come quella di Dacca la prima reazione è sempre immediata e viscerale, però la soluzione ai problemi non viene dalle semplici emozioni, ma dall' identificare e risolvere i problemi che le hanno ispirate.

 

In teoria i governanti di molti paesi dovrebbero controllare e punire questi istigatori di odio, ma sappiamo, come dimostra il caso di Ayodhya, che spesso sono proprio i governi che sfruttano questo senso di ingiustizia da parte della popolazione. E l’India non è certamente l’unico esempio di questo tipo di comportamento occulto.

 

La Storia ci ha dato troppe tragedie nel corso dei millenni. Noi esseri umani dobbiamo capire che la Storia deve darci esempi da evitare e dobbiamo smettere di utilizzarla per trovare scuse per giustificare il nostro carattere malvagio.








  Altre in "Società"