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Cultura - SocietàStefania Castella

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16 Gennaio 2017
Tre metri dietro le sbarre. Il tour dei Giovani Giuristi Vesuviani. Il racconto di Vincenzo Vozzella.
di Stefania Castella



Tre metri dietro le sbarre. Il tour dei Giovani Giuristi Vesuviani. Il racconto di Vincenzo Vozzella.
Il Condominio 21 a Carinola

SI tirano le somme del tour affrontato dai Giovani Giuristi Vesuviani partito in questi primi giorni di gennaio. La giovane delegazione ha visionato per quattro giorni otto case circondariali, seguendo le orme di quel cammino che di Pannella era diventato impronta, con la Delegazione di Radicali italiani, la guida di Emilio Quintieri, che conduce una decennale battaglia per i diritti dei detenuti ad una vita da reclusi in condizioni di vita umane.

 

Un cammino che ha toccato otto luoghi, oltre i cancelli delle carceri di Poggioreale, Bellizzi Irpino, Benevento, Salerno, Santa Maria Capua Vetere, Secondigliano, Sant’Angelo dei Lombardi e Carinola per osservare da vicino le condizioni di detenzione, quanto i diritti umani basilari siano effettivamente rispettati così come dovrebbe essere. Il progetto denominato “Tre metri dietro le sbarre” con l’autorizzazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia si è prefisso lo scopo di comporre un quadro tecnico oltre le idee speso pregiudiziali legate ad alcune strutture.

 

Otto case circondariali, per tirare le somme ed elaborare relazioni utili ad aprire un dialogo con La Pubblica Amministrazione per segnalare i disagi, e le eventuali violazioni di quei diritti fondamentali necessari a delineare i confini del vivere civile. “La situazione non è sembrata così deteriore come spesso viene dipinta” Il commento dell’avvocato Vincenzo Vozzella che ha seguito da vicino il sopralluogo di alcune strutture come quella di Secondigliano e Benevento. A lui chiediamo alcune riflessioni sull'esperienza appena conclusa.

 

Avvocato con la delegazione dei “Giovani Giuristi Vesuviani” da quanto tempo siete attivi sul territorio?

 

A novembre è terminato il primo anno, abbiamo iniziato con incontri e convegni poi abbiamo allargato il raggio sul sociale.

 

Un’impressione sul vostro lavoro appena concluso …il primo impatto?

Devo dire la verità il giudizio non è stato negativo totalmente. Nei luoghi da me e il mio gruppo, visionati, non c’erano grossi problemi: Secondigliano, Benevento, considerando anche il minor numero di detenuti rispetto ad altre strutture.

 

La sensazione più forte?

La cosa che più colpisce è ovviamente la sensazione dell’isolamento. Parlando con i detenuti, ti dico prima di tutto che le celle sono aperte all'interno di bracci chiusi, quindi i reclusi sono liberi di girare. Ho parlato con alcuni di loro, mi dicevano che in confronto ad altre strutture, non si stava così male. Direi che l’unico luogo dove i problemi sono apparsi più grossi, più seri, su tutti i livelli, dalla pulizia alla mensa agli orari, alle condizioni totali, è Salerno. Abbiamo denunciato le condizioni e qualcosa si sta già facendo.

 

Qual è la cosa più difficile che si affronta, che voi avete sentito di aver affrontato?

Credo di aver riscontrato principalmente, la difficoltà di portare all’interno il mondo esterno, cioè creare una sorta di collegamento tra il dentro e il fuori. Qualcosa si cerca di fare, a Benevento ad esempio la direttrice mi parlava di un progetto artistico fatto tra i detenuti e i ragazzi di una scuola media, una sorta di laboratorio che ha entusiasmato sia i ragazzi che i detenuti. Il lavoro basato sulla tematica del tempo, da questa, sono scaturite dodici tavole che hanno composto un quadro premiato a Massa Carrara. Questo tipo di attività dovrebbe essere una delle funzioni del carcere. Ci sono quindi, come vedi, attività che rendono la vita detentiva umana. A Carinola, esiste il Condominio 21 all'interno del carcere, un vero e proprio condominio dove non ci sono sbarre, e nel quale i detenuti si muovono come accade nella vita fuori, nell’ambito di progetti con aziende esterne, lavorano, tornando la sera a dormire in questa sorta di vera e propria casa.

 

Come proseguiranno dopo questi sopralluoghi, i vostri lavori in merito?

Seguiremo Emilio Quintieri, e il percorso che accompagnerà la denuncia fatta all'amministrazione penitenziaria per quanto riguarda la situazione di Salerno prima di tutto.

 

Può tracciare una sorta di Conclusione?

Che spesso anche nei media questo ambiente si dipinge diversamente. Anche la polizia penitenziaria ad esempio che fa notizia solo quando accade qualcosa di negativo, l’attenzione è quasi sempre rivolta verso la mela marcia, che del resto esiste in tutti gli ambiti. Noi abbiamo visto persone impegnate che si spendono per fare bene il proprio lavoro. La maggioranza di queste persone ha una coscienza.

 

Esiste secondo lei un problema di fondo maggiore?

La mancanza di fondi certamente, appoggiarsi al volontariato non può dare certezze. E il lavoro dei direttori, per questo diventa ancora più difficile

 

In conclusione esistono, o come devono essere, buone carceri?

Il discorso è che ci sono. Ci sono buone carceri. Bisogna dedicarci fondi. Ci sono corsi, da incrementare, iniziative da incentivare. Una persona all'interno del carcere una volta uscita viene rigettata dalla società, perché non è capace di inserirsi, perché non conosce e non può affrontare il mondo del lavoro, ma se impara un mestiere, se lo rieduchi e ottieni che la maggior parte dei detenuti, ha seguito un percorso di rieducazione, quello sicuramente è il risultato di un buon carcere.

Il livello di pulizia, il cibo, i diritti civili basilari, devono essere rispettati. Rieducare, incrementare attività non certo solo ludiche, ma effettive che insegnino, che non contribuiscano ad incattivire. Il fenomeno di chi entra per aver commesso un reato magari lieve, esce e poi compie un reato più grave, questo è da evitare, non far sì che il detenuto diventi un vero e proprio criminale stando dentro. Il buon carcere deve evitare questo.








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