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Cultura - SocietàStefania Castella

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16 Maggio 2017
Blue Whale. Il buio dell'adolescenza
di Stefania Castella



Blue Whale. Il buio dell'adolescenza
Una balena come simbolo

Prima di cominciare questo pezzo ho riflettuto a lungo. Qualcuno mi diceva bisogna raccontare, bisogna parlarne. E ci sono molti modi di scrivere un articolo, milioni di modi di dire una stessa cosa. Parlare di ciò che si sa, è la regola primaria, e parlare rivolgendosi ad altri e non a se stessi un regola altrettanto primaria. Ci sono argomenti che però scalfiscono più di altri. Ci sono momenti di confronto differenti e differenti responsabilità. Parlare degli adolescenti e agli adolescenti è un terreno minato, ricoperto di pezzi di vetro, si sanguina e si rischia non solo di farsi male ma di spaventare, non tutti reggono il sangue allo stesso modo. Ma quello che accade agli adolescenti è già da tempo un urlo troppo soffocato che non si può fingere di non udire. Le porte chiuse, gli spazi invalicabili, chi ha un figlio adolescente lo sa, quanto è difficile il confronto, quanto sia complicato ogni codice che non si riesce ad interpretare.

 

Prima di entrare nello specifico, prima di toccare argomenti troppo dolorosi, tutto quello che c’è in mezzo è comunque uno spazio che ha bisogno di essere avvicinato, osservato, compreso. Prima di isolarsi prima di odiarci, probabilmente loro stessi, questi giovani che in rete trovano spazi che nella vita non riescono a raccogliere, forse hanno un loro linguaggio per chiedere aiuto. Guardando ogni porta chiusa verrebbe di sfondarla, ancora prima di sapere cosa nasconde dietro, rompere ogni silenzio, scalfire ogni certezza. Ma come dice la madre di una delle ragazze protagoniste di queste storie assurde delle quali ormai sappiamo quasi tutto: “C’è bisogno di abbracci” di dirsi parole d’affetto che coprano la rabbia che riempiano vuoti anche quando dall’altra parte c’è un rifiuto indispettito, doloroso, un abbraccio e una parola di conforto, la vicinanza anche fisica, certe volte può essere un piccolo spiraglio, potrebbe anzi e sarebbe una delle strade da tentare. Era il 4 febbraio di un sabato qualunque quello vissuto da un giovane quindicenne livornese per l’ultima volta. Il racconto di questa storia, di queste storie, potrebbe partire da qui, Il suo salto nel vuoto dal palazzo più alto della città lasciava una ferita profondissima e tanti interrogativi. Ma probabilmente la partenza è da ricercare molto più lontano. Nel recente servizio delle Iene se ne è parlato, e già si sussurrava da troppo tempo. Per questo, si parte dalla Russia. Lì dove tutto cominciava, prima di una diffusine a macchia d’olio.

 

Paesi distanti un numero allucinante di suicidi di giovanissimi, dietro, l’inquietante presenza di una mano divisa in tante dita a stritolare vite. In rete la vita e la morte. Esiste un piano, un protocollo, in questo “gioco” in palio la vita. I video in rete girano da parecchio tempo, centinaia di adolescenti si sono tolti la vita seguendo un macabro rituale. La Blue Whale la balena azzurra è un gioco strutturato per indurre sui ragazzi una sorta di depressione, per liberarsi della quale, non resta che il suicidio. Il gioco si compone di tappe, tutte svolte in cinquanta giorni. Gli ultimi cinquanta giorni di vita per chi resta imbrigliato in una rete gestita da consapevoli assassini, gli amministratori di questa malignità, gente preparata, che conosce i meccanismi della mente, psicologi, psicoterapeuti, che giorno dopo giorno indicano il percorso. Per ogni giorno una prova, per ogni giorno la documentazione da inviare all’amministratore, e poi distruggere. Le prove? Tutte orribili, e graduali, si parte da piccoli tagli, da procurarsi filmare e inviare al “tutor”, per poi passare all’infliggersi dolore profondo, alzarsi di notte salire sul tetto più alto, guardare per ore film horror ascoltare come un mantra le canzoni che di volta in volta vengono inviate dagli amministratori, ferirsi, isolarsi, fino al cinquantesimo giorno, giorno in cui l’amministratore decreta la fine del gioco.

 

Fine della vita. Aveva sedici anni Diana, prima di entrare nella rete, così come Angelina, due delle centinaia di vittime innocenti di un gioco crudele. Nessun segno apparente se non da un certo punto in poi il disegno ossessivo di una balena, icona non a caso: le balene e il loro spiaggiarsi sono il simbolo di quella morte suicida di cui si permea questa infamia. Chi resta è attonito, chi resta non è solo sconvolto, è messo difronte ad una realtà che non avrebbe mai immaginato. Madri che si domanderanno per tutta la vita che cosa hanno tralasciato. Le vittime si sono gettate da un palazzo, alcune, come la prima, diventata per tanti adolescenti un macabro simbolo, distesa sui binari per farsi tranciare in due, intorno a loro, gli inquirenti hanno trovato prove della presenza di altri adolescenti. Perché le vittime hanno intorno la rete dei loro amici. Nessuno di loro può o riesce fermare il gioco una volta partito, ed ogni vittima per chi ancora non ha raggiunto lo stadio primario (la morte) è un mito sa seguire. “Diana ha vinto, per i suoi amici” dice la madre della giovane vittima, dopo un anno ancora piena di lacrime e dubbi.

 

Cosa accade in Russia è qualcosa che ormai ha raggiunto livelli allarmanti tanto che in parlamento si discute il modo di affrontare questa terribile piaga. Grazie ad un’indagine capillare si è arrivati all‘inventore di questa bestialità, uno dei curatori che attraverso i social reclutava adolescenti «Non sono pentito di ciò che ho fatto, anzi: un giorno capirete tutti e mi ringrazierete» ha detto una volta arrestato il 22enne reo confesso Phlipp Budeikin, studente di psicologia, attualmente detenuto, assolutamente non pentito. Anzi, per lui si è trattato di una sorta di “pulizia della società” «erano felici di morire» ha aggiunto, tralasciando di sottolineare che questa follia gira anche tra piccolissimi che non hanno che tre o quattro anni, imbrigliati in video che riproducendo cartoni innocenti inducono a folli gesti in una sorta di messaggio subliminale orrido di fondo. Un’assurdità che non ha distinzioni. Si comincia per curiosità non si smette fino alla morte.

 

E mentre se ne discute, il gioco si diffonde, Brasile, Gran Bretagna, Francia. La prova che il gesto del quindicenne di Livorno sia legato alla Blue Whale non è ancora certa, ma alla luce di tutto questo, la storia si tinge di inquietanti coincidenze che gli inquirenti approfondiranno. Quello che è certo, è che i giovani hanno bisogno di ascolto e di aiuto che sono sempre più soli, che sono sempre più fragili, isolati in mondi paralleli in cui non si riesce ad entrare, e questo silenzio è il male più grande. Il loro silenzio è l’urlo più doloroso, forte forse solo come la paura di morire, quella che tutti hanno e che non possono raccontare. “Angelina è morta con le mani sugli occhi-dice sua madre- lei non voleva guardare. Aveva paura”. Qualcuno dovrebbe farsi un esame di coscienza, questi non sono suicidi, ma veri e propri omicidi, da fermare adesso.








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