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21 Maggio 2018 Un antico mestiere: il seggiolaio di Francesco Taverna
Una volta nelle nostre città e nei borghi era tutto un ‘cantare’: c’era lo straccivendolo, lo stagnino, l’ombrellaio, l’arrotino, lo spazzacamino e anche il seggiolaio. Tutti usavano le stesse modalità per attirare clienti: gridavano per le vie indicando la loro professione e spesso allungando le vocali finali per ottenere più attenzione. Era il loro modo di farsi pubblicità. Ora questi lavori ambulanti non esistono più. Nella civiltà del consumo l’ombrello, la sedia o il coltello rotto non si fanno riparare, si gettano nella spazzatura!
Questi vecchi mestieri restano solo nei ricordi e qualche volta vengono ancora rappresentati durante fiere e feste popolari, anche se è sempre più difficile trovare ancora chi è in grado di eseguirli.
Spesso chi professava questi mestieri aveva origine da una stessa zona. C’era insomma una certa specializzazione locale. I seggiolai ambulanti che fino agli anni ’50 hanno frequentato il nord Italia e la Francia proveniveno nella quasi totalità dalla provincia di Belluno ed in particolare dalle valli Agordine. I villaggi di Gosaldo, Tiser, Rivamonte e Voltago, in un censimento degli anni ’30, contavano fino a un seggiolaio di professione ogni 3 abitanti maschi. In quella zona esistevano parecchie miniere di ferro, zolfo e mercurio che coinvolgevano la quasi totalità della popolazione maschile, ma una grossa frana in una miniera della valle verso la metà del 1700 lasciò un grosso numero di minatori senza lavoro. Essi furono cosi costretti a emigrare e fare il seggiolaio divenne una temporanea soluzione che permise loro di sopravvivere. Divenne così usuale, nel periodo invernale, emigrare verso la pianura in cerca di lavoro. I seggiolai lasciavano i loro paesi verso la fine di agosto per ritornare non prima di maggio. Nei mesi estivi la presenza dgli uomini era indispensabile per il taglio della legna e lo sfalcio dei prati in modo che, prima di partire, avessero la certezza che la famiglia avrebbe avuto sia la legna per il riscaldamento che il fieno per gli animali. Spesso la partenza e il rientro erano scanditi da particolari ricorrenze. A Gosaldo, ad esempio, si partiva dopo il 24 agosto, e la festa di San Rocco era anche detta ‘Sagra delle Valigie’. A Rivamonte il rientro avveniva prima del 13 giugno, festa di San Antonio, la più importante del paese. Ogni gruppo si portava dietro una cassetta con gli attrezzi e una specie di morsa portatile detta "caora". Raggiunti i luoghi prescelti iniziava la ricerca del lavoro. Spesso si sistemavano nelle piazze dei paesi o sotto i portici dove svolgevano la loro attività. Lavorando nelle piazze avevano spesso la necessità di doversi parlare senza farsi capire dagli abitanti del luogo. Inventarono così un modo di parlare detto "scapellament", in cui usavano termini particolari e parole storpiate o invertite per capirsi. Così, "acqua" diventava "mis", che è il nome del fiume che percorre le loro valli. In una giornata di lavoro riuscivano a costruire ed impagliare fino a sei sedie. Dormivano dove potevano, spesso nei pagliai, ed era una vera festa quando dovevano eseguire lavori per qualche cascina, perché avevano anche la certezza dei pasti caldi.
Oggi sono stati sostituiti dalle macchine, ma le sedie non hanno più lo steso fascino, né ne la stessa resistenza.
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