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02 Marzo 2010 Amleto a Gerusalemme, città dei paradossi. di Gessica Franco Carlevero
"Gerusalemme è la città delle contraddizioni. E’ una città di miseria, di povertà. Però è bellissima".
"Amleto a Gerusalemme", recente pubblicazione di Editoria&Spettacolo, racconta l’avventura del progetto TAM - Strumenti di Pace, sostenuto dalla Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri tra il 2008 e il 2009.
In collaborazione con l’ETI Ente Teatrale Italiano e il Teatro Nazionale Palestinese El-Hakawati, grandi maestri del teatro italiano come Gabriele Vacis, Roberto Tarasco, Marco Paolini, insieme a importanti artisti palestinesi, hanno dato vita a un laboratorio di teatro che, più che un semplice corso, pare essersi rivelato un’avventura umana.
Nella primavera del 2008, dopo diverse giornate di provini, sono stati selezionati trentaquattro ragazzi palestinesi tra i 15 e i 22 anni, 17 uomini e 17 donne.
Katia Ipasso, la curatrice del libro, ha seguito e raccontato le varie tappe del progetto. Innanzitutto la formazione dei giovani con il metodo della Schiera, la tecnica per la formazione degli attori sviluppata da Gabriele Vacis, "un esercizio che sto elaborando da diversi anni, insegna a vedere quello che si guarda e a sentire quello che si sente".
I maestri hanno individuato nell’Amleto il testo di riferimento, un’opera che sembra essersi rivelata incredibilmente vicina alla sensibilità dei giovani attori. "Per Amleto essere o non essere è una questione di vita o di morte. È una faccenda molto dura e molto precisa per noi palestinesi, essere o non essere?".
Dopo mesi di prove intense, sotto la guida del regista Kamel el Basha, i ragazzi si sono esibiti al Teatro Nazionale Palestinese con il saggio "Following the footsteps of Hamlet". In seguito hanno raggiunto l’Italia, prima Alessandria, dove hanno lavorato insieme a giovani attori italiani, in seguito si sono esibiti a Milano, Venezia e Roma.
L’incontro tra i ragazzi palestinesi con quelli italiani è stato significativo, Gabriele Vacis racconta come i giovani palestinesi, a causa delle pressioni continue che sono costretti a vivere, in un certo senso sono più forti e determinati degli italiani che invece, oppressi dall’impossibilità e dall’incertezza, sono ridotti al completo spaesamento.
"I palestinesi non hanno la terra ma sono un popolo. Noi abbiamo il territorio ma non siamo un popolo", afferma Marco Paolini.
Un momento interessante del libro sono le conversazioni con alcuni artisti e intellettuali palestinesi. Katia Ipasso ha incontrato la scrittrice Suad Amiri, il documentarista Mohammad Altar, il romanziere Sayed Kshua, "La gente che vuole la guerra parla sempre di identità, verità, fiducia, identità nazionale e terra… Sia gi israeliani che i palestinesi si rappresentano come vittime, e non vogliono uscire da questa condizione della logica della colpa e della vendetta".
La regista Sahera Dirbas racconta che mentre realizzava il documentario "Stranger in my home" ha scoperto che molte persone della prima generazione hanno conservato una manciata di terra delle case che sono state costrette a abbandonare, ora custodiscono quella terra nelle loro case di rifugiati.
L’aspetto più interessante del libro è la visione che si delinea di Gerusalemme, una città paradossale, ricca di contrasti, mistica e pop, illuminata e buia, antica e moderna.
Per Roberto Tarasco "sembra che a Gerusalemme si viva un naufragio quotidiano dentro tutte le sfumature dell’arabesco". I fedeli visitano il Santo Sepolcro e per 10 shekel possono affittare una croce e posare per una fotografia ricordo. Il Muro che separa Israele e la Palestina è alto più di 8 metri e lungo 700 chilometri. Rawan Sharaf, direttrice di una galleria d’arte a Gerusalemme est racconta come il Muro sia qualcosa di reale ma che lavora soprattutto a livello mentale, "Ho tante immagini della vita prima del muro. Ricordo per esempio la luce del sole sulle strade. E adesso non c’è più nessuna luce, semplicemente perché c’è il Muro che fa ombra".
Tornano alla mente le parole del poeta Mahmud Darwish, "Gli israeliani e i palestinesi sono come due uomini intrappolati nella stessa tomba".
Ma accanto al dolore e alla sofferenza a Gerusalemme si respira un’aria di assoluta vitalità. Saleh Bakri racconta come più ci si sente vicini alla morte, più si sia vicini alla vita, ed è perciò che le persone che vivono in una situazione di guerra e tensione continua si sentono prossimi ad Amleto.
E ora che l’avventura si è conclusa, una volta di ritorno in Italia, Gabriele Vacis afferma "I palestinesi mi hanno lasciato l’idea di un teatro dal soffio vitale" .
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