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Cultura - TeatroFranco de Carli

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03 Giugno 2018
Arcobaleno sul Vietnam - Atto unico (anno 1967)
di Franco de Carli


Arcobaleno sul Vietnam - Atto unico (anno 1967)
I personaggi della commedia sono tre: l'uomo, la donna, l'autore, più una comparsa, un ragazzo di undici anni ed una signorina che funge da stenografa. L'Uomo, la Donna e l'Autore, oltre alla loro parte propria con successivi travestimenti, fanno anche altre parti: una madre vietnamita, un bonzo, un sacerdote cattolico, un soldato sudvietnamita, un ambasciatore americano, un generale americano e due soldati americani. Sul palcoscenico vi sono dei cubi, in numero di dieci o dodici, disposti irregolarmente in cerchio e, sul fondo, un paravento a varie ante, sul tipo di quelli giapponesi, laccato in nero, con dipinti su ogni anta raffiguranti immagini stilizzate di alberi nani, contorti, paesaggi di monti, uccelli, contornati da fini ricami di segni ideo-grammatici. All'inizio sono presenti in scena l'Uomo, la Donna e il ragazzo. L'Uomo e la Donna sono vestiti con una tunica a maglia molto aderente, sul tipo di quelle usate dai ballerini, nera o grigia, chiusa fino al collo. Anche il capo è rivestito dalla tunica che lascia libero il volto, poco più sulla fronte e scende davanti alle orecchie fin sotto il mento. Sono entrambi molto giovani, magri, nervosi. I loro movimenti quando recitano in tunica a maglia sono caratterizzati da movenze sotto cui s'indovinano i passi di danza. Infatti i loro moti a scatti, altre volte strisciati sul pavimento, l'ondeggiare ampio dei gesti, qualche piroetta o rapido giro della persona, devono dare l'impressione che il dialogo s'inserisce in una composizione a balletto, come i due attori spiegano. Di conseguenza anche la mimica dei volti dei due attori quando recitano in maglia, è molto accentuata, quasi parossistica, esagerata in rapporto ai sentimenti. I volti sono molto dipinti, con netto stacco di colori, bianco, come colore di fondo, nere lucide le sopracciglia, rosse vive le labbra. La Donna è seduta su un cubo. Ha le gambe accavallate, un gomito appoggiato su un ginocchio, fuma ed è concentrata nei propri pensieri, L'Uomo è seduto per terra, alle spalle della Donna, dietro il cubo. Circonda le braccia, le ginocchia e guarda fisso dinnanzi a sé. Poco discosto, il ragazzo è seduto per terra. Veste una lunga camicia con le maniche corte, aperta sul petto, ed un paio di calzoncini corti. Sui cubi vi sono degli abiti distesi disordinatamente; fra questi si riconoscono delle divise militari, una tunica gialla e un vestito da prete. Sugli abiti vi sono delle maschere malesi. Per terra vi sono delle armi. Dopo un periodo di silenzio e d'immobilità, l'Uomo si porta, strisciando, a fianco della Donna e la guarda con occhio interrogativo. È in preda a viva agitazione, è quasi disteso sul palcoscenico, ma le sue membra vibrano come dovessero scattare. Notevole importanza hanno le luci. Quando i due attori recitano in tunica le luci devono essere bianche grigie, tenui, in modo da conferire alla scena un tono irreale. Naturalmente le luci muteranno nelle scene in cui i due attori fanno parti diverse.
 
Uomo Incominciamo?
Donna No.
Uomo Non sei ancora pronta?
Donna (con fastidio) No… no… non ancora…
Uomo (incalzando) A che punto sei?
Donna (con fastidio) Sta entrando il sacerdote cattolico…
Uomo (scatta con mossa agile, si porta a fianco della Donna e si siede a terra con le gambe incrociate) Ah… il bonzo è seduto qui, vicino a te…
Donna Sì.
Uomo I tuoi occhi hanno già detto al nemico tutto quello che potevano dire.
Donna Non è un nemico.
Uomo Hai ragione. È uno della nostra terra, uno dei tanti che potremo incontrare in una via di Saigon o in una risaia del delta del Mekong. Ma l'Autore l'ha messo di fronte a te come un nemico spietato, crudele, insensibile, senza pietà.
Donna Tutto ciò che hai detto non è in lui, ma nella macchina alla quale appartiene. Secondo l'Autore, egli non è un nemico spietato, crudele, insensibile, senza pietà. Secondo l'Autore, egli vorrebbe essere un nemico tollerante, comprensivo, sensibile, umano, quasi umano, quasi un amico, perché è dell'amicizia essere tolleranti, sensibili, comprensivi, umani.
Uomo Nell'amicizia c'è qualcosa di più… l'amore!
Donna Per questo ho detto che egli vorrebbe essere quasi un amico del ragazzo colto con la pistola in mano e sarebbe propenso a credere alla giustificazione che il ragazzo gli ha detto, che la pistola non è sua, ma l'ha trovata così… per gioco! Quante pistole finte passano per le mani così,… per caso l'ha raccolta… così, per gioco! Servono per uccidere un nemico fantastico, irreale, ma nella loro mente si deposita il fatto che qualcuno è morto. Il ragazzo felice sottrae costui al numero dei suoi ipotetici nemici e, nella sua mente, si deposita il fatto che in guerra l'uomo non è che un numero. Vale, se c'è per quelli della sua parte. Se non c'è, o non c'è più, vale per quelli della parte avversa.
Uomo Nella grande foresta degli uomini un albero abbattuto è uscito dal conto. Poco male se il nemico, da lontano, vede che la foresta sembra ancora intatta.
Donna (animandosi) Ma ciò che il nemico non vede, mescolato nel verde, è l'altezza degli alberi. Nella foresta degli uomini che combattono, sono sempre meno quelli adulti e sempre più numerosi quelli giovani educati ad uccidere. Tutto questo l'Autore l'ha messo nello sguardo del sudvietnamita che è a guardia del ragazzo prigioniero, ma non l'ha scritto e il suo dramma diventa impossibile, assurdo.
Uomo Questo dramma è una meditazione. Il bonzo deve stare assorto davanti alla madre del ragazzo non meno di un'ora: è possibile? Per lo spettatore un'ora è un tempo enorme, fuori d'ogni limite concepibile di pazienza.
Donna (sorridendo) Eppure, per il bonzo, è una frazione effimera… un'ora! Interrogalo, per chiedergli quale respiro abbia un'ora per lui… e poi sei proprio sicuro che il bonzo sappia che cos'è un'ora? Per lui può essere un giorno, un mese, un anno. L'indicazione di un'ora serve per noi che la dividiamo in sessanta minuti ed ogni atto che facciamo lo regoliamo sui secondi. Il bonzo medita e la sua testa piegata ci dice tutto l'orrore che lo pervade per la lotta fratricida che insanguina il suo paese. Passano intorno a lui, di corsa, soldati sudvietnamiti. La radio urla la disperazione di quelli che, poco lontano, cadono ad uno ad uno tra un tronco e l'altro della giungla, sotto il piombo che piove dagli alberi. Un attimo prima era tutto silenzio, ora è un inferno. Passano sopra di lui uccelli rigidi e rumorosi, carichi di bombe. Vanno a buttarle là, dove la terra sussulta. Scendono intorno a lui cavallette giganti, piene di uomini che saltano a terra e scompaiono nell'erba folta. Dalla parte opposta sciamano i contadini in fuga… (si alza con tono deciso, nervoso) non riuscirò mai a recitare un dramma simile.
Uomo Perché?
Donna Un personaggio che dal principio alla fine non dice mai una parola… ma l'Autore ha capito che cosa vuol dire tacere… tacere sul palcoscenico?
Uomo Tu sei la madre del ragazzo fatto prigioniero… di questo ragazzo (e lo indica) che deve essere fucilato sul posto. Guarda! Tuo figlio è così, con le mani legate dietro la schiena (gira il ragazzo con le spalle al pubblico e indica le sue mani legate dietro la schiena) e volta sempre la spalle al pubblico perché questo ragazzo non ha nome al di fuori di quello di figlio. Secondo l'Autore rappresenta il popolo vietnamita prigioniero di se stesso, della sua storia, della sua geografia, di tutto quel complesso di cose che l'hanno fatto attore e vittima della storia di tutti, dell'umanità intera. Dimmi? Può parlare un simbolo? Che cosa può dire che non sia banale, senza significato? Egli deve tacere. Solo tacendo può farsi capire.
Donna E la madre?
Uomo (con gesto melodrammatico) Oh… la madre, per la madre è un altro discorso. (s'avvicina alla Donna che fa inginocchiare) La madre è così, inginocchiata a fianco di suo figlio… guardami! Altrimenti non capisci perché secondo l'Autore la madre deve tacere dal principio alla fine… è un ordine che l'Autore dà al suo personaggio, ma è anche una realtà psicologica profonda, imprescindibile. Il dolore d'una madre che assiste all'agonia di suo figlio non ha parole nel vocabolario umano. È un dolore che viaggia su un piano diverso del dolore di una ferita: questo urla, quello tace. Il primo grida e viene sempre più alla superficie, il secondo scende sempre di più nell'abisso dell'anima. E quali parole trovi nell'abisso dell'anima? Ecco, oltre al silenzio, solitudine, disperazione, angoscia… tutte parole uguali a silenzio. (con convinzione) Per questo la madre tace dal principio alla fine.
Donna E il soldato vietnamita?
Uomo Quello a guardia del ragazzo prigioniero? Tace anche lui, come la madre, il figlio e il bonzo. Chi ha una consegna tace. Solo qualcos'altro potrebbe scioglierli la lingua… la pietà, per esempio… ma il soldato che ha una consegna di guardia, non può aver pietà. È lì, con la stessa realtà silenziosa del fucile che imbraccia e che tiene con entrambe le mani e col dito appoggiato sul grilletto… pronto… se fai l'atto di scappare, sparo! L'atto, perché l'intenzione ce l'hai, se non ci fossi, se non ti seguissi con gli occhi che non ti cavo d'addosso.
Donna (con disperazione) Tacciono tutti, allora! Ma chi può comprendere un dramma simile.. senza parole, senza una parola?
Uomo Senza parole ci si può far capire ugualmente. Noi siamo una fotografia vivente (e pone di fronte alla donna una fotografia)… questa che l'Autore ha ritagliato da un giornale. Guarda! Madre e figlio nell'attesa di un destino tremendo: fucilazione! Per lui! (e indica il ragazzo) che si è lasciato cogliere in fallo con la pistola in pugno…. ed un soldato vietnamita…  io… (mentre parla si veste, raccogliendo i vestiti che sono sopra i cubi) con l'elmo, la tuta mimetica, il cinturone e il mitra… a guardia del prigioniero. (si rivolge alla donna) Vuoi qualcosa di più? Vuoi personaggi? Più tardi ci sarà un bonzo, un sacerdote cattolico, soldati che corrono avanti, indietro, che giungono, che muoiono, americani che volano, scendono, s'imbarcano, ritornano. Vuoi delle voci? Ecco il rombo degli aerei, i colpi di fucile, le urla di richiamo, le grida dei feriti, l'ansimare dei moribondi… via, non far ridere! Non ti basta tutto questo per farne un dramma? Noi siamo pronti per un balletto mistico dalla mimica silenziosa e tragica… introspettivo, come vuole l'Autore. (accenna passi di danza) Quando ti scioglierai nel moto, membra ed anima danzeranno insieme, fuori del tempo. Non ci sarà limite ai tuoi gesti, confine ai tuoi movimenti, spazio che ti possa racchiudere (accentua il movimento di danza) nella cadenza del tuo piede… arcuato, leggero… nell'inarcamento del tuo tronco… flessibile, etereo… nell'impassibilità del tuo volto… impenetrabile, chiuso… sarai, come vuole l'Autore, la sacerdotessa del dolore di un popolo. Danzare, per noi è come immolarci, per chi, lontano da qui, soffre e s'immola. Tu sei l'unica donna. Io sarò il soldato, il bonzo, il sacerdote cattolico. Ecco i miei abiti, li cambierò secondo l'azione. Questo è il pensiero dell'Autore. Egli crede che una sola persona possa farne due, tre dieci, cento, perché sono tutti uomini legati alla stessa catena d'odio, di violenze, di dolori, di sangue. Possono essere tutti in uno, come uno può comprenderli tutti. Su, inginocchiati e cerca dentro te stessa, l'intensità del dolore di una madre alla quale stanno fucilando suo figlio. Trasfondi questo dolore nella tua faccia, nelle pieghe delle tue guance, nell'impostazione della tua bocca, che non dice nulla, ma che vorrebbe urlare, gridare tutta la pena che ti morde il cuore. Anima i tuoi occhi dell'implorazione suprema, quella che fa da solco tra la vita e la morte e fa comprendere nelle sfumature dello sguardo che tuo figlio aveva la pistola in mano per gioco.
Donna (si è inginocchiata e gradualmente s'immedesima nel personaggio, trascinata dalla foga dell'uomo) Non mi credono, non mi possono credere.
Uomo Ma tu non hai altro mezzo per salvare tuo figlio. Devi instillare il dubbio che sia così, creare un dramma, se ti è possibile, nelle loro menti, perché la decisione di ucciderlo sia rimandata di un'ora, di un giorno, e, nell'intervallo, maturi qualcosa di diverso. È l'unica medicina che ti tiene in vita perché hai deciso di morire con tuo figlio. Sei sola contro la guerra: non hai armi, al di fuori dell'astuzia. Gioca! Gioca sul sentimento, sulla possibile pietà, sulla vergogna di fucilare un fanciullo. Hai il vantaggio che tuo figlio tace perché l'Autore poteva fargli gridare che è un patriota e la tua speranza sarebbe andata distrutta, lacerata dall'ineluttabile.
Donna (implorante) Lasciami parlare!
Uomo Parla.
Donna Non così… lasciami dire ciò che dovrebbe dire una madre alla quale stanno fucilando l'unico figlio…
Uomo (incerto) Ma io… non sono l'Autore.
Donna (con foga) Lo stai diventando, lo sei. Il personaggio è l'Autore, anche se inventa, se usa parole diverse da quelle che l'Autore pretende. Lasciami parlare! Senza parole un dramma muore! Voglio parlare in libertà e tu pure, parlerai. Racconteremo il disgusto, la ribellione, l'orgasmo di gridare che si finisca con la guerra, l'odio, la violenza. Urleremo il nostro dolore, che è il dolore di quelli che lottano e muoiono, dei miliardi d'uomini che assistono senza poter far nulla… lasciami parlare!
Uomo (con decisione) Indossa i tuoi abiti.
Donna (alzandosi, felice, estasiata) Sì… (prende gli abiti della madre e li indossa. Per ultimo si pone sulla faccia una maschera, che riproduce il viso di una donna malese di una quarantina d'anni. Dalla maschera scendono lunghi capelli che cadono sulle spalle della donna disordinatamente)
Uomo (si avvicina ad un lato della scena e chiama) Stenografa!

Entra una giovane vestita comunemente, volto inespressivo con grandi occhiali. Dopo le prime battute, si siede su un cubo, un po' in disparte, accavalla le gambe, pone sul ginocchio un blocco notes ed incomincia a stenografare.

Stenografa Eccomi!
Uomo Prenda carta e matita.
Stenografa (mostrandoli) Eccoli!
Uomo La signora reciterà… reciterò anch'io e lei scriverà tutto quello che diremo. Non salti una parola! Noi urleremo, grideremo, iniziando come per gioco. Poi l'illusione scenica sarà più forte di noi e saremo vivi, palpitanti, nelle vesti… ah! I vestiti sono questi, (e li indica) li guardi bene, perché deve imparare a distinguerli. Io li cambierò secondo le scene e lei, ogni volta, segnerà il vestito che indosso: bonzo, prete cattolico, contadino, soldato sudvietnamita, patriota o bandito… ma lei scriva patriota, poi decideremo… americano… (alla Donna) e chi altro?
Donna (con noncuranza) Non importa… se ci sarà qualcun altro potrai recitare senza vestito. La scena, adesso…
Uomo (alla stenografa. Parla con molti gesti e notevole eccitazione) Campagna… campagna piatta nel delta del Mekong… al fondo, il cielo con qualche nuvola pigra… covoni di grano… risaie… alberi… un paesaggio triste, monotono, acquoso… vuol dire che c'è nell'aria una leggerissima nebbia, un'umidità d'evaporazione, una calura pesante e fastidiosa. Lo spettatore deve avere l'impressione che la cosa più normale sarebbe che tutti si sdraiassero per terra a dormire… a fare una siesta serena e greve per un pasto troppo abbondante… sì, sì… non stona tutto questo col dramma, anzi; l'animalità della digestione è una gioia della vita, è inutile nasconderselo. (alla Donna) Chi sul punto di morire non si augurerebbe di essere un animale pur di continuare a vivere? Che ne dici? Ti sembra cinico, disgustoso?
Donna Sì… ma intanto il pubblico non lo capisce. Detta alla stenografa il finale.
Uomo Lo aggiungeremo dopo.
Donna No, no, subito!
Uomo Come vuoi, il finale è apocalittico.
Donna (con irritazione) No!
Uomo (senza scomporsi) Io lo vedo così. (va verso il fondo, agitando le braccia) Bandiere, bandiere di tutti i tipi e uomini di tutte le razze che le portano, le agitano, le sventolano nell'aria.
Stenografa (scrivendo precipitosamente) Più adagio, più adagio…
Uomo (scandendo lentamente ogni parola) Passano sul fondo… lentamente… una cinematografia continua… a file compatte… in silenzio. Sono l'espressione dei popoli della terra e la loro processione deve dare l'idea del numero enorme di uomini che siamo e che saremo. L'Autore ha persino pensato ad uno sfondo diviso in vari piani e su ogni piano la stessa processione d'uomini e di bandiere in modo che riempia tutto, dall'alto al basso, perché ormai siamo dovunque, sulla terra bruciata dei deserti, sulle distese sconfinate dei ghiacci. Sembra un pensiero puerile, ma è tremendo dover dire ad un uomo: non nascerai, perché sei di troppo!
Donna Non divagare.
Uomo Hai ragione. (alla stenografa) Dove siamo rimasti?
Stenografa … perché sei di troppo.
Uomo Cancelli!
Stenografa Da dove?
Uomo Da… sembra un pensiero puerile… rilegga qualche riga avanti.
Stenografa L'Autore ha persino pensato…
Uomo Sì… sì… la processione è interminabile… (con accento estatico) ah, deve avere tanti attori da riempire per ore lo sfondo del palcoscenico, tante bandiere che facciano come una tenda a quest'umanità in cammino! Passano gli abitanti delle più grandi città del mondo, gli abitanti di Mosca, di Kiev, di Leningrado, di Karchow, gli abitanti di Pechino, di Shanghai, quelli di Roma, di Parigi, di New York, di Buenos Aires… e, in mezzo a loro, gli abitanti delle campagne, delle coste, dei monti. Passano uomini dai colori diversi, bianco, nero, giallo. Uomini di tute le età, ognuno col suo portamento, col suo profilo… passano, passano…
Donna (nervosamente) Ed ora il dialogo.
Uomo Scena. Un soldato sudvietnamita, armato di tutto punto, un ragazzo inginocchiato per terra, le mani legate dietro la schiena (fa alzare il ragazzo, lo fa inginocchiare e gli lega le mani dietro la schiena) e sua madre inginocchiata anch'essa, con la faccia fra le mani… in pianto, disperata…
Donna Non dirmi nulla.
Uomo Hai ragione, fa' tu! (imbraccia il mitra e si pone in piedi, un po' discosto dal gruppo della donna e del ragazzo. Anche lui si mette sulla faccia una maschera che riproduce un viso malese)
Madre (dalla posizione inginocchiata, striscia con le mani per terra e protende il busto verso il soldato) Avrei detto… no, è una cosa assurda… eppure, voglio dirtela! Avrei detto di conoscerti.
Soldato (duro) No, non ci siamo mai visti.
Madre (con tono gioviale) Uhh… quanta sicurezza! Ma forse hai ragione. Io sono una donna comune, poi… l'età! Ci rende tutte simili. Per distinguerci una dall'altra ci vuole una conoscenza… buona, di lunga data. No, francamente la escludo. Se ci siamo conosciuti è stato di passaggio, una conoscenza così, fra famiglie che abitano nella stessa regione… o nel quartiere… Saigon?
Soldato Sì, Saigon…
Madre Lo dicevo… periferia… verso la collina dei fiori?
Soldato (evasivo) Da quelle parti.
Madre (con entusiasmo) Vedi che ho ragione. Siamo dello stesso quartiere… non è tanto strano se ti conosco. Se sei quello che ricordo… ma sei proprio tu… mi sembra che mi abbiano anche parlato di te… non ho presente dove… ma in bene… mi hanno detto che sei affezionato a tua madre… a tuo padre…
Soldato È morto da due anni.
Madre Era prima che morisse… ecco, mi hanno detto che l'hai curato a lungo, che lo portavi in braccio…
Soldato Chi non porta in braccio suo padre quando è stanco e malato?
Madre Non tutti, adesso non si può. I giovani sono tutti via, chi qua, chi là… combattono, ma che importa da che parte combattono? L'importante è che non sono qui con noi e il padre può morire, la madre affaticarsi da mattino a sera… inutilmente perché le rubano tutto. Ho conosciuto tua madre…piccola, gobba…
Soldato Non tanto…
Madre Ma adesso è così. Tu non l'hai più vista. La continui a vedere com'era. E forse, povera donna, vedendoti, si raddrizza perché i tuoi compagni non dicano che hai una mamma gobba, piegata dagli anni, ma più che dagli anni, dal dolore che tu sei lontano… chiedi un po' al mio ragazzo come mi vede? Ti dirà che sono bella. (con civetteria) Su, guardami e dimmi la sincera verità: sono bella? (ritornando seria) Ricordati, non chiedere mai ai figli un giudizio sulla bellezza del padre o della madre. Ti diranno che sono belli, non sono buoni giudici. Sono solo dei figli che hanno bisogno dei genitori. Non lo dicono tanto facilmente, alcuni non lo dicono affatto, altri ti possono persino dire il contrario, ma non è vero. Hanno bisogno di noi sempre, finché siamo in vita e dopo, non ci credi? Prima di essere stata madre sono stata figlia e di mia madre, buon'anima, sono figlia ancora, anche se non c'è più. Non mi rattristo, vedi? Pensa, avrebbe centovent'anni. E che se ne fa una donna di centovent'anni?
Soldato (sorridendo) Se li gode.
Madre Si godono le prime decine di anni e, parecchi, ne godono anche meno… come voi, per esempio… tu sei felice?
Soldato E perché no?
Madre Con quell'arnese in mano?
Soldato (alzando il mitra, con gesto d'orgoglio) Con quest'arnese, vinceremo la guerra.
Madre (conciliante) È naturale! Chi non vince quando è armato come te? Solo degli stupidi ti si possono mettere contro. Noi siamo tutti della stessa idea.
Soldato Noi, chi?
Madre Tu ed io… e questo mio figlio. Vuoi che glielo chieda? Ma mettilo più comodo se vuoi che ti risponda.
Soldato Non posso.
Madre Fa' il bravo! Non ti chiedo di slegarlo, ma di legarlo insieme a me, qui, ai polsi, e perché non scappi, tu mi leghi i piedi. Ti va?
Soldato Che commedia! E sia! (posa il mitra, slega il ragazzo, legandogli i polsi con quelli della madre. La madre si siede ed il soldato le lega insieme le caviglie)
Madre Oh, finalmente, sto più comoda!
Soldato (alzandosi e riprendendosi il mitra) Eh?
Madre Sì, inginocchiata stavo male. Così seduta, sto meglio. Vedi (indica il ragazzo) per lui è uguale. Non scappava prima, e non scappa adesso. (si rivolge al figlio) Stai più comodo così? (il ragazzo accenna di sì) Guarda che riconoscenza! Sta più comodo e non si sforza nemmeno di ringraziarmi. È il destino di noi donne, pestate dai mariti e prese a calci dai figli.
Soldato Non esagerare! Questo pivellino non ha più fiato in gola.
Madre In principio non ne avevo nemmeno anch'io quando t'ho visto. Fai paura, mio caro, sul serio! Se bastasse la paura, avresti già vinto la guerra. E far paura a me non è facile. Quando ero in campagna una banda di manigoldi mi rubava tutte le notti delle galline. Non so se erano armati o no. So che nel buio devono avermi intravista e non si sono più fatti vedere. Così si cacciano i ladri e i cattivi spiriti.
Soldato (con interessamento) Sai cacciarli tu?
Madre È la mia specialità.
Soldato Riesci più di un bonzo?
Madre Mi fai ridere! Non ho mai visto un bonzo cacciare un diavolo. Ho visto, invece, un diavolo tirar la tonaca ad un bonzo. Se non c'era un altro bonzo pronto ad afferrarlo, il diavolo, insieme alla tonaca, si portava via anche il bonzo. (con accento deciso, guardando intensamente il soldato) Quando verrà buio, ci libererai, mio figlio ed io. Se non lo farai, ti appiccicherò due diavoli, uno per gamba.
Uomo (si toglie la maschera e prorompe in una risata) Bravissima! Quest'idea del diavolo è formidabile… (imbarazzato) ma adesso che cosa rispondo?
Donna (anche lei si toglie la maschera) Ah…non so. Penso che sarebbe il momento di far entrare il bonzo.
Uomo Come lo vedi?
Donna Grasso, sulla cinquantina…
Uomo Sì… un tipo… molto bene! (alla stenografa) Signorina, ha scritto tutto finora?
Stenografa Sì, tutto.
Uomo Mi raccomando, non perda una sillaba.
Stenografa Sono tutta orecchi e… occhi.

L'Uomo prende la tunica gialla da bonzo, va dietro il paravento e, dopo un po', entra in scena. È vestito con la tunica gialla sotto la quale ha infilato delle imbottiture che lo rendono molto più grasso di prima, specialmente all'altezza dell'addome. Sul viso ha una maschera d'uomo malese, con una barba rada, appuntita. La maschera continua in alto in un cranio pelato. Ha in braccio un manichino esattamente simile al soldato della scena precedente e lo pone nel posto che il soldato occupava prima. Poi si rivolge alla madre che si è rimessa la maschera.

Bonzo Tu non appiccichi diavoli a nessuno… (con indignazione al soldato) e tu non ti vergogni a legare una donna?
Madre Sono stata io che gli ho detto di legarmi.
Bonzo Fa' silenzio! (al soldato, urlando) E tu… va più in là… su, muoviti! (dall'esterno con un filo, il manichino del soldato è tirato più lontano. Intanto il bonzo si china e slega la madre) Che razza di cose devo vedere!
Madre (con timore) Sta' attento! Se quello là vede il ragazzo slegato, può sparargli…
Bonzo Ma nemmeno per sogno! (senza voltarsi, mentre continua a slegare la madre e il ragazzo) Eih, ragazzo! (si volta verso il soldato) Dico a te, hai capito? (alla madre) Non parla. Sparerà solo se lo vede scappare. Ma lui non scapperà.
Madre Devi salvarlo, bonzo.
Bonzo È tuo figlio?
Madre Sì.
Bonzo E si è lasciato pizzicare?
Madre Sì, con una pistola addosso… ma non è un partigiano.
Bonzo (sorridendo) Manchi di fantasia se pensi che qualcuno lo creda.
Madre Ma è vero! Ha dodici anni.
Bonzo E con ciò? Per maneggiare una pistola ne ha già abbastanza.
Madre Ma non ne ha ancora abbastanza per capire.
Bonzo Ne ha già abbastanza… secondo te, a che età s'incomincia a capire questa dannata guerra… (con malizia, indicando il soldato) chiediamolo a lui?
Madre (con paura) No, no, non stuzzichiamolo troppo!
Bonzo (si siede con le gambe incrociate) Ho cinquant'anni. Ho capito bene quella che abbiamo fatto contro i francesi, ma questa… (e termina con una smorfia di disgusto)
Madre Se non la capisci tu, che sei una persona istruita…
Bonzo Già! Io viaggio sempre con due giornali in tasca. A destra quello di Saigon, a sinistra quello dei partigiani. Parlano ambedue di Ginevra, che è una città lontana, in un continente che non è il nostro ed ambedue sostengono che la guerra finirà quando gli accordi di Ginevra saranno applicati. Quelli del nord affermano che sono quelli del sud che non vogliono applicarli, quelli del sud affermano che sono quelli del nord. E così la guerra continua. In aiuto a quelli del nord, c'è la Cina, la Russia e tutto il mondo comunista. In aiuto a quelli del sud, ci sono gli americani e i loro alleati. Immagina due cerchi dentro a cui puoi scrivere, comunismo in uno, capitalismo nell'altro e falli avvicinare fino a toccarsi: nel punto dove si toccano scrivici Vietnam…
Madre (stupita) Noi…
Bonzo Sì… siccome i due cerchi sono carichi di energia opposta, dove si toccano sprizzano scintille. Quindi noi abbiamo il grande privilegio di tener uniti due mondi, ma anche il grave disagio di collaudare la diversità delle loro energie.
Madre Ma finirà un giorno tutta questa storia…
Bonzo E come? È poco probabile che i due cerchi si scarichino.
Madre Ma noi potremmo rimanere fuori dai cerchi.
Bonzo No, bisognerebbe non far parte dell'umanità.
Madre E allora? Perché non possiamo rimanere divisi com'eravamo prima?
Bonzo (con tristezza) Perché siamo un popolo solo e nessuno dei due vuole lasciarci completamente nelle mani dell'altro. Intanto le nostre città vanno in rovina, le campagne sono abbandonate agli sterpi, le nostre donne, o sono madri private dei figli, o sono vedove, o sono fanciulle senza padre e fratelli. Nelle nostre case restano i nonni, i vecchi e nella loro ombra silenziosa l'infanzia è triste. È tutto bello quello che dicono, gli uni e gli altri, ma bisogna poi entrare nelle famiglie. I vecchi chiedono riso e sonno ed hanno dinamite e paura. I bambini chiedono compagni e giocattoli ma, invece del pupazzo di stracci, c'è la pistola vera nelle tasche dei nostri figli e il sospetto di sapere dove si trovino. Chi li pesca prima, li arma, e degli altri li uccidono. I parenti non sanno se sono patrioti o traditori. Bisogna aver pazienza: un giorno lo sapranno perché il giudizio d'oggi non è definitivo.
Madre (guardando verso un lato del palcoscenico e togliendosi la maschera) C'è l'Autore. (si alza) Ora ci fa riprendere il dramma del silenzio.







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