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28 Settembre 2010 Torinodanza Festival: Rosas danst Rosas a la Cavallerizza Reale 1-2 ottobre 2010 di Gessica Franco Carlevero
Da ventisette anni Rosas danst Rosas viene rappresentato sui palchi di tutto il mondo. Lo spettacolo nasceva a Bruxelles nel 1983 per opera della coreografa fiamminga Anne Teresa de Keersmaeker. Quest'anno, l'1 e il 2 ottobre, la celebre danza della Compagnia Rosas ha inaugurato il secondo Focus del Festival Torino Danza "Scene dagli anni Ottanta". Le luci si abbassano gradualmente, in sottofondo un ticchettio, pare un orologio o un metronomo. Entrano in scena quattro figure che si dispongono in fila dando le spalle al pubblico. Il rumore si interrompe, le danzatrici cadono. Inizia così il primo movimento: 25 minuti in cui le protagoniste rimangono stese al suolo, si roteano e voltano ripetitivamente, l'unico suono è il rumore del loro respiro ansioso, affannato. Le danzatrici sembrano immerse in un sonno agitato, pieno di sobbalzi e ricadute, in cui il silenzio segna la sospensione dello scorrere del tempo. Le ballerine, come abbandonate al sogno, strisciano e si avvicinano al pubblico, i sussulti sono sempre più insistenti. Improvvisamente i battiti iniziali tornano a risuonare, le figure si alzano, indossano le scarpe e si dispongono su quattro gruppi di sedie. La musica si amplifica e le ragazze restano sedute come chiuse in se stesse, il capo e le spalle abbassate. La luce cresce e le ballerine cominciano una serie di movimenti secchi e ripetitivi con la parte superiore del corpo. La serie dei gesti è ininterrotta reiterazione che muta in straordinarie evoluzioni legate alle musiche di Thierry De Mey e Peter Vermeersch. Le quattro figure ondeggiano meccanicamente, indossano abiti stinti, camicette celesti e gonne grigie. Nei loro ripetuti gesti ossessivi ricordano operosi individui alienati. Come se dopo una notte di sogni angoscianti le quattro donne si svegliassero alle prime luci per raggiungere un posto di lavoro disumanizzato ed estraniante. Il terzo movimento si apre nel momento in cui le ballerine ripongono le sedie sul fondo della scena e cominciano una serie di gesti oscillanti. Rigorosamente allineate, ogni gesto si compie sulla linea orizzontale che non è dato di infrangere. In piedi, la musica si fa sempre più incalzante e le ragazze, una alla volta, si avvicinano al pubblico. In un primo momento sembra un tentativo di affermazione della soggettività, ma presto si comprende come tutte eseguano esattamente i medesimi movimenti. Ancora una volta la conformità alla massa ha il sopravvento sull'individuo che diventa un fantasma in balia di uno schema totalitario. Due fasci di luce paralleli solcano il palcoscenico scuro come binari da cui non è lecito scostarsi. L'ultimo movimento coinvolge nella totalità le ballerine che cominciano a prendere maggiore libertà nello spazio. La coreografia rimane geometrica e ripetitiva ma in crescendo, apparentemente di rottura, con gesti circolari, più armonici rispetto alla precedente costrizione. La musica acquista maggior vigore, si fa incalzante, e al suo culmine si interrompe bruscamente. Una danzatrice di sdraia a terra, una si siede su una sedia, due continuano a percorrere il perimetro del palco fino a quando gradualmente, nel silenzio, calano le luci.
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