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02 Gennaio 2016
Destini, racconti di Martino Sgobba
di Emma Fenu



Destini, racconti di Martino Sgobba
Destini
Martino Sgobba

 "Destini" è una silloge di racconto di Martino Sgobba edita da Robin nel 2015.  

 “In principio era il Verbo”. Consolatorio.  

 “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”.  Angosciante. 

  Possiamo determinare il Destino, plasmandolo con ciò che ci identifica come uomini, ossia la forza della Parola, o siamo solo lettere in successione, scritte da altrui mano?

 

Possiamo viaggiare, scegliendo la stazione e il vagone su cui salire e la fermata alla quale scendere, o il percorso si svolge su un treno che, se non segue un prefissato binario, miseramente deraglia?

 

Il nome che ci definisce e distingue, il ruolo che ci appartiene, le emozioni che ci attraversano, sono esiti di scelte o giochi di un Destino che, prima che si apra il sipario, distribuisce le maschere ad attori improvvisati e consumati, senza fare distinzione?

 

 

Martino Sgobba è uno scrittore complesso, non complicato.

 

Padrone della penna, non del lettore, che si muove anarchico fra le sue storie, in una silloge di racconti intitolata “Destini”, edita da Robin nel 2015. Episodi a sé stanti, brandelli di Storia e di non- Storia, che si uncinano fra loro.

 

Basta una parola, e tutte le comparse tornano a calcare la scena in una commedia diversa, sedute le une accanto alle altre, di nuovo in uno scompartimento di un treno che promette una meta. Forse.

 

Osservando la copertina del libro, si ha la visione di un labirinto sfalsato. Puoi essere Dedalo, ma se il tuo progetto è stato manipolato, troverai un muro. O una tenda di mussola di scostare. Chissà.

 

Incantata e sedotta dalle parole scritte ed evocate da Martino Sgobba, vi lascio al vostro destino di lettori.

 

Ci sono libri che non si possono raccontare, che vanno percorsi, a volte tornando indietro, per ritrovarsi, alla fine, con un frammento di Verità, trasparente e capace, se pur imperfetto, come un bicchiere filato da cui dissetarsi, dopo averlo colmato del proprio “umore”.

 

 

 

Emma Fenu

 

 

 








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