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04 Febbraio 2016
Conversazione con Bianca Pitzorno su 'La vita sessuale dei nostri antenati'
di Emma Fenu


Conversazione con Bianca Pitzorno su 'La vita sessuale dei nostri antenati'

Era un tardo pomeriggio del 28 Agosto dello scorso anno, e il profumo della salsedine, delle pietre ancora calde, del caffè e della birra Ichnusa si spandeva fra i divanetti bianchi disposti in una piazzetta, investita dalla brezza, davanti ad un bar del cuore del centro storico di Alghero. C’erano due figure: una con i capelli mossi, il rossetto rosa antico, l’eyeliner nero e un vestitino rosa cipria con i volants sul carrè; l’altra con un taglio corto, liscio e sbarazzino, una camicetta bianca a righe celesti e un paio di jeans.

 

La prima ero io, la seconda era la mitica scrittrice Bianca Pitzorno, talmente gentile da acconsentire a concedermi  un’intervista, o meglio ancora di chiacchierare con me, di vita e letteratura. Una Donna eccezionale, con una voce che incanta, con una cultura ad ampio raggio che seduce, ma anche con una grande generosità che la porta a concedersi all’ascolto dell’altro. E l’altro, in questa occasione fortunatissima, ero io.

 

Grazie Bianca per aver accettato di dedicarmi il suo tempo e la sua attenzione. Ho letto quasi tutti i libri, ma è del suo ultimo, “La vita sessuale dei nostri antenati”, edito da Mondadori, che vorrei che parlassimo maggiormente, dato che è la mia ultima lettura e che ancora mi tiene compagnia sul comodino. Mi ha colpito e irretito il bellissimo legame, di ascendenza mitica, fra Eros e Thanatos che sfocia, infine, in metamorfosi. Qual è la sua concezione di morte, in ambito letterario?

 

 Io ho pensato la morte come un lungo sonno che segue un tempo circolare in cui siamo tutti vivi e siamo tutti morti, continuando ad avere relazioni con chi è venuto prima e con chi verrà dopo di noi.

 

Nel suo romanzo si vuole, finalmente, dare voce alle donne scomparse, che perfino anche nell’Ade erano destinate a tacere, come apprendiamo anche dai poemi omerici.

 

 A dire il vero, Emma, qualcuna delle donne parla nell’Ade, ma non la stanno ad ascoltare, anche se cerca di comunicare!

 

 Parlare e non trovare ascolto: ci capita ancora oggi e da vive!

Torniamo al romanzo, in cui infiniti simboli si snodano fino ad un epilogo che ha diviso il pubblico, in quanto alcuni lo trovano stupendo, e io sono fra questi, altri non sufficientemente chiaro e soggetto a molteplice interpretazione. Che dire, in merito?

 

 Io ho voluto silenzi e reticenze, anche se un lettore accorto sa cogliergli ed è chiamato a collaborare. Sto scrivendo, per mio diletto, un mio capitolo in cui Perry Mason, Della Street, la sua indispensabile segretaria, e Paul Drake, il suo investigatore privato, seduti attorno ad un tavolo, come nei vecchi gialli, tirano le somme, per risolvere il caso.

 Quando ci sono due gemelli identici, come nel mio romanzo, che ritornano in più punti della narrazione, la storia deve tornare in qualche modo. Lo affermò anche Hitchock: “Se in un romanzo compare una pistola bisogna che spari!”.

 

 Concordo in pieno, Bianca. Il lettore deve avere un ruolo attivo.

 Il titolo del libro, associato al suo nome, è spiazzante. Lei tratta di sesso in modo diverso dal solito, oltre i canoni del business editorale, perché ritorna alle origini del mito, fino all’omosessualità greca. Perché questa scelta coraggiosa?

 

 Secondo me molti romanzi parlano solo di ginnastica anatomica. Il mio è un titolo, in realtà, provocatorio e paradossale, perché, anche nella prima partenza, in cui parlo dell’orgasmo di Ada dopo l’amplesso con un personaggio forse inesistente (forse una sorta di fauno di Narnia, chissà!), io non entro in dettagli.

 A mio avviso è importante concentrarsi sul discorso inerente alle generazioni. Le nostre Antenate, madri anche di venti figli, venivano descritte come donne castissime, mentre una normale vita familiare e affettiva deve presupporre un’attività sessuale senza falsi moralismi e tabù. Fra quelle antiche lenzuola c’erano, infatti, attività più o meno piacevoli, più o meno scelte, più o meno decise.

 

 Va sottolineato che in passato l’educazione sessuale maschile avveniva per lo più nei postriboli e che la odierna fecondazione eterologa era cosa naturale e comune: abbiamo tutti sangue rosso, come quello che immagina Ada nel simbolico parto in mare.  Il sangue blu era, spesso, solo l’inchiostro vergato sulle carte. In questo contesto la figura protagonista è nonna Ada, che viene messa letteralmente a nudo dal rinvenimento di un suo diario…

 

 La nonna, Ada Senior, sembra una donna dura, quasi antipatica, ma, invece, attraverso il suo diario, si coglie il percorso che ha fatto. Ho scritto questo libro anche perrendere omaggio a queste antenate: “tanto di cappello” per loro che in una società che imponeva modelli difficili hanno saputo fare il loro dovere e “tenere botta”.

 Mi ha divertito molto anche la storia di Clara Eugenia che è ispirata a Donna Lucia Delitala Tedde, di cui tanti hanno scritto.

 

 Confesso di non conoscere la storia nel dettaglio, me la vuole raccontare?

 

 Nata nel 1705, fu una virago, senza marito e figli, di cui ci testimonia l’esistenza anche lo storico sardo Giuseppe Manno, la quale andò alla macchia con una coppia di banditi, sposati e genitori, ma plebei, e che poi fu fatta prigioniera dopo la strage a danni dei fuorilegge. Il Vicerè di Sardegna scrisse al Re Sabaudo, Carlo Emanuele III, che la donna, con mira infallibile dalla sella, aveva due baffi  da moschettiere. Ma gli aneddoti sulla sua storia non finiscono qui: odiava le signore vestite eleganti e andava, munita di forbici, fuori dalla chiesa, dopo la messa di mezzogiorno, per tagliuzzare i vestiti troppo eleganti.

 

 Terribile: io sarei stata fra quelle bistrattate, perché sommersa di balze e merletti!

 

 A diversi studiosi ho detto: “Ma non vi è passato per la mente che fosse lesbica?”. Non si è sposata, ha detto al re che non l’avrebbe fatto perché non riconosceva la superiorità del maschio prevista dal matrimonio. Pensiamo, ancora, al legame strettissimo con questa coppia, qualcuno diceva che fosse l’amante del bandito: ma se fosse stata, invece, l’amante della banditessa?

 

 La sua opera non ha una collocazione geografica definita. La scelta è sicuramente voluta, ma lei è nata a Sassari: cosa c’è, ancora, della sua terra in “La vita sessuale dei nostri antenati”?

 

 Io non scrivo esplicitamente mai di Sardegna, molti, infatti, pensano che il libro sia ambientato in Toscana, ma semino dei sassolini, come Pollicino. Per esempio, le dueamanti donne, vanno vivere felici a Parigi, a pensione presso la vedova Dupon,   allo stesso indirizzo in cui alloggiava Giovanni Maria Angioy, il rivoluzionario sardo ribelle ai Savoia, negli ultimi anni di vita scappato in Francia, dopo i moti, presso gli illuministi. Depresso ed incitato dai patrioti sardi a fare ritorno, è morto senza pagare gli ultimi anni di pensione. Le tre figlie, avendolo rinnegato perché non nobile, si rifiutarono di saldare il conto alla vedova proprietaria, se pur rintracciate dall’Ambasciata.

 

 Questo ci fa capire l’estrema importanza della ricerca, che si cela dietro il segreto di una grande storia: un vero monito, e modello, per gli scrittori emergenti e per gli aspiranti tali.

 Quali sono i suoi prossimi progetti di scrittura?

 

 Per ora nulla, dopo dieci anni dedicati alla stesura di questo libro, consapevole del grande impegno che, soprattutto oggi, comporta la promozione di un libro, dati icambiamenti nell’editoria negli ultimi anni, non so se scriverò ancora, data la mia indole da “casalinga solitaria”!

 

 Le trasformazioni nell’editoria possono essere attribuiti ad un calo delle vendite. Noto che nella nazione dove ora vivo, ossia in Danimarca, come in tutti i paesi protestanti, ci si rapporta autonomamente alla Bibbia da generazioni, quindi si legge molto, anche autori stranieri, mentre si fa la fila alle poste, si è seduti sui mezzi pubblici, si prende un raggio di sole in un parco…

 

 Io sono “figlia” di una scrittrice danese, non credo avrei fatto la scrittrice se non mi fossi innamorata di “Bibi” di Karin Michaëlis, autrice del celebre e discusso “L’età pericolosa“. Avevo perfino trovato, scampati ai roghi del nazismo, alcune opere, edite prima degli anni trenta.

 

 Le ho sottratto fin troppo tempo, cara Bianca, avvinta dal suo fascino intellettuale, e la ringrazio immensamente. Mi permetto un’ultima richiesta: quale messaggio si propone di lasciare a me e ai nostri lettori?

 Il mondo è pieno di cose. Non ci sono regole valide per tutti, la cosa fondamentale è rispettare gli altri e possibilmente perdonare. Io ho voluto scrivere un libro in cui irancori venissero superati e le motivazioni di ciascuno fossero capite: se non condivise, per lo meno capite. Non c’è un “cattivo”, in questo romanzo: forse l’unico è il padre di Ada, il nobile fannullone che tradisce la moglie e “vende” la figlia. Si raccontano cose severe, è vero, ma con indulgenza, cercando di comprendere la mentalità di un’epoca maschilista. E’ un libro all’insegna della tolleranza.

 

 Un grande messaggio: il perdono e la tolleranza sono gli unici modi per capire e per capirci. E per cambiare il mondo.

 Grazie ancora, Bianca Pitzorno.

 

 La mia recensione del romanzo “La vita sessuale dei nostri antenati”:

 

Emma Fenu

 

 








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