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Cultura - SocietàStefania Castella

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16 Febbraio 2015
Pietro Gargano. Intervista ad un Cronista da tutta la vita
di Stefania Castella



Pietro Gargano. Intervista ad un Cronista da tutta la vita
Pietro Gargano
Provo a farne un ritratto anche se mi dice "No, perché un ritratto?". Perché le recensioni sono un limite. E descriverla seguendo il filo di una recensione sarebbe stato riduttivo. Giornalista, scrittore. Caporedattore per una vita intera per il Mattino di Napoli. Uno dei quotidiani più letti d’Italia. Una vita spesa per quello che è "mestiere", passione, sudore. E non le piacerà perché lei lima, io esagero. Lei asciuga, io aggiungo. Mi lasci fare. Descriverla con pochi aggettivi non sarebbe da me. Descriverla senza sembrare mettere insieme banali parole già dette questo è il primo pensiero. "Scrivere per chi sa scrivere è maledettamente facile, la fatica viene dopo, quando si tratta di eliminare l’aggettivo superfluo, la ripetizione non voluta, disossando". La sua intervista è la costruzione di un percorso, non sempre facile, per chi vuole affrontare la passione del giornalismo. Ascoltare sapendo di essere di fronte ad un uomo che potrebbe rispondere di qualunque argomento, un po’ frena, ma quella che cerchi di costruire come un’intervista, diventa una chiacchierata con un maestro che non smette di studiare, inseguendo e lavorando su quella che definire passione non vuol dire escludere l’impegno, mai. Per essere un giornalista? "Bisogna consumare la suola delle scarpe" ed è vero, andare comunque, andare spesso senza neanche avere il tempo di pensare.
 
Chi è Pietro Gargano?
 
"Un cronista". La risposta è secca, e risuona quasi inaspettata, provo ad aggiungere, quasi all'unisono che vuol dire, riportare avendo sempre presente l’onestà del racconto, l’esattezza, lo studio, la precisione. La bella voce è ferma, musicale. A tratti austera, quasi imbarazzante. Ma mette ad agio subito, si accende nel racconto di vita che non può estromettersi dalla città. Perché nonostante si giri il mondo, si parta dove ci sia bisogno di andare, la radice che si ha, che la si strappi o meno, avrà sempre un piccolo lembo pronto a piantarsi di nuovo. Una città, Napoli che è contraddizione continua, ma "tutto sommato non peggio di tante altre". Nato a Montechiaro, una bella frazione di Vico Equense, cresciuto a Portici. Il mare, filo conduttore.
 
Il mare lo aveva di fronte dalla nascita, il mare che resta anche quando non è più così vicino?
 
"Averlo vicino o meno non conta tanto. Nei vicoli più stretti è così lontano, ma presente comunque. Resta dentro, credo sia così". Immagino il centro con il suo caos, i vicoli stretti come piccole ferite che si aprono, che ingoiano. "C’è una geometria nei vicoli" una certa estraneità che spesso è timore "Ma bastano un paio di giorni per sentire di farne parte". Napoli, metropoli. Città bistrattata difficile multi facciale. "Credo che probabilmente tra chi la racconta e l’abbia raccontata, Pasolini sia stato il più vicino alla realtà". Una città senza regole, dove i napoletani "decidono di estinguersi restando sempre sé stessi". La sua è evidentemente, una radice profonda e si esprime nella quantità di lavori prodotti nel tempo. Una quarantina di libri riguardanti soprattutto la storia del sud, della sua, della nostra città. La Nuova Enciclopedia Illustrata della Canone Napoletana, ad esempio, progetto enorme in sette volumi che raccoglie tutta la storia della musica dal Duecento ad oggi. Perché lo studio è continuo e indomito e la musicalità vocale è anche musicalità di scrittura.
 
Come è arrivato al giornalismo? (In realtà sarebbe come si diventa come lei?)
 
Io ho avuto fortuna. Ho cominciato per caso, giocavo al calcio, fermo per un infortunio, accompagnai in redazione un amico che scriveva al Mattino mi fecero leggere un pezzo sulla partita della mia squadra, dissi che non mi piaceva, mi chiesero se sapevo fare meglio, dissi di sì
È cominciata così, ma conosco la gavetta, otto anni, e a certi miei colleghi è durata anche di più, undici, dodici anni. Ci vuole fortuna, conta anche quella. Come quella volta che seguivo una partita, la squadra del Poggiomarino segnava l’undicesimo goal, scrissi un pezzo con un titolo tremendo "A Poggiomarino si va in campo col pallottoliere sotto al braccio" in quel momento cambiava il direttore. Sono passati cinquant'anni, me lo ricordo ancora, al direttore nuovo piacque. Capii che qualcosa cambiava. Quando ancora si scriveva a mano, penna e carta, in pochi con la macchina da scrivere.
 
C’era già nella sua vita una moglie e una figlia al primo contratto. "Mi affidarono "Gli Esteri", giustamente, per uno che prediligeva il calcio". (Anche questo è un giornale). Probabilmente anche quella fu a suo modo una fortuna, inseguire una strada difficile, in una di quelle occasioni in ci non puoi permetterti di stare a pensarci, ma prendere e andare. Da inviato ha inseguito e seguito le scie del terrorismo in Medio Oriente, La rivoluzione portoghese, la morte di Francisco Franco. "Dovevamo fare un servizio che sarebbe dovuto durare poco (Franco stava per morire) ma tutto durò più di un mese, quando tornai a casa, mia figlia di undici mesi all'epoca, non mi riconosceva più. Decisi che non avrei fatto più l’inviato. (L’ho ripreso in seguito)
 
Qualcuno avrebbe proseguito
 
 "Non ero io, non sono mai stato così. Quindi, su certe scelte, niente rimpianti".
 
"Come quella volta con il Corriere…avevo quasi deciso poi cambiai idea all'ultimo momento. Al muro, i cappotti tutti in fila, tutti uguali, io non ero così". La vita in prima linea, come quella volta a Tel Aviv, "In trenta, miei colleghi, avevano rinunciato, io partii. Sembrava semplice, invece ci fu un attentato, andavamo da una parte all’altra. Mi trovai di fronte una figura con in mano un Kalashnikov, fu sparato a pochi metri da me, era tutto molto confuso, ricordo che davo al telefono le notizie e cercavano di impedirmelo, non si riusciva a capire. Quando alla tv sentii il servizio che avevo raccontato, capii che ce l’avevo fatta.
 
Oggi Pietro Gargano, racconta di donne coraggiose, dimenticate della storia o mai conosciute. Lo fa in modo nuovo, una nuova avventura, con il linguaggio del romanzo. Donne protagoniste di episodi che nei libri di storia non incontreremmo mai. Come "Lenuccia di Vico della Neve a Materdei" protagonista delle quattro giornate rivoluzionarie napoletane, che impedirono la deportazione ebrea, in partenza proprio da Napoli. Racconta di Lenuccia, alla quale è arrivato per caso, rivelando di aver scritto, ascoltando le parole registrate direttamente dalla donna.
 
 Che voce aveva?
 
 "Bellissima. Raccontava intrecciando eventi (erano giorni di rivolte) tra pallottole, voglia di riscatto e scene di vita "normale". Partecipò alla rivolta contro gli occupanti tedeschi, combattendo attivamente. Con lo spazio anche per altro. Come quando in via Duomo, nel centro di Napoli si tenne una gara di ballo. Lì incontrò il futuro marito, in realtà già incontrato, quando durante una battaglia lei aveva preso un auto per soccorrere un ferito, dimenticando la bandiera bianca, fu sparata da uno squadrone di partigiani tra cui anche lui che quando la rivide le chiese "come non ti ricordi di me? T’aggio sparato ncuollo!". Una donna forte, potente, che avrebbe voluto parlare, raccontare, ma che nessuno voleva più ascoltare.
 
Una fatica nuova per chi abituato a fare il cronista si è trovato ad adattarsi al racconto. Una ricerca appassionata di chi è già conoscitore, immerso nello studio storico della rivoluzione, avendo già raccontato delle figure rivoluzionarie del 1799. (Eleonora e le altre. Le donne della rivoluzione napoletana). Anche lì un numero impressionante di donne che cambiavano la storia. Donne indomite, forti che non avevano paura di mettersi in gioco. Che combattevano, partecipavano.
 
Cosa è successo dopo? Ci siamo fermate?
 
"Probabilmente no, un po’ arrese forse sì. Quelle signore hanno davvero fatto la storia e cambiato l’assetto politico di certi anni.
C’è una punta di orgoglio a sentire raccontare il coraggio sfacciato di donne prestate a cause in cui credevano per cui davano la vita. Storie che il più delle volte vengono tralasciate dai racconti "eliminate" dalla storia
 
A cosa lavora ora?
 
A un libro sull’inquisizione e anche qui ho incontrato una figura di donna fantastica, sposa, madre e vedova a neanche quindici anni, che si immola per i suoi ideali. CI sono sangue, dolore, eppure sempre, comunque, anche sentimento.
 
C’è sempre sentimento nonostante tutto.
 
"Si sempre."
Ma come trova certe figure?
 
Le incontro, basta una piccola frase, una citazione. Si studia si approfondisce.
Si studia, si approfondisce. Senza fermarsi, senza stancarsi, perché questo è probabilmente uno dei mestieri più belli de mondo, ma uno di quei mestieri per cui, non puoi permetterti di fermarti, di sederti, di arrenderti, come in tanti altri mestieri certo, probabilmente, solo forse, un po’ di più.







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