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31 Luglio 2016
Stress Test: servono davvero?
di Francesco Pisani


Stress Test: servono davvero?

Ieri si sono finalmente conclusi gli stress test effettuati dalla banca centrale europea per le banche del vecchio continente. Ormai sono diventati quasi famosi a tal punto che anche il tabaccaio ne parla come se fosse il suo pane quotidiano. 

Ci sono però piccoli dettagli che molti non conoscono e che sono importanti per comprendere la vera utilità di questi tests. Vediamo di scoprire insieme qualcosa in più.
 
In primis quali banche vengono interessate: sono interessate le 51 banche principali europee e solo quelle. Questo significa che solo gli istituti bancari più importanti per capitali vengono sottoposti a questo controllo periodico. Si perdono i dati relativi a tutte quelle banche minori o con caratterizzazione locale che però sono estremamente radicate sul territorio italiano e non solo. Ricorderete che in un mio precedente articolo ne abbiamo trattato poiché negli ultimi anni sono state proprio le banche minori e quelle di tipo cooperativo a creare i maggiori problemi. Problemi che sono costati milioni di euro a tanti risparmiatori. Ma ripeto tutte queste decine di banche non sono oggetto dei test.
 
A quale periodo fanno riferimento i test: si riferiscono ai dati di bilancio del 31 dicembre 2015. Ebbene si, questi test che ci vengono comunicati a fine luglio sono analisi basate su dati dell’anno scorso. Quello che è accaduto in 7 mesi non è oggetto di valutazione ma potrebbe esserlo nella successiva tornata.
 
Cosa vanno a verificare: vanno a controllare la capacità di ciascuna banca di reagire e reggere ad un’ondata speculativa. In pratica si cerca di capire se i conti sono solidi a tal punto di reggere un’onda di speculazioni che dovesse prendere di mira l’Europa o un singolo paese. Immaginiamo che per esempio di sia un gruppo di fondi o di speculatori che decida di vendere o comprare titoli in modo da variarne il valore in maniera consistente e pericolosa a tal punto da mettere a rischio un paese, come verificatosi con l’Isalnda. Bene i conti della banca devono poter assorbire queste variazioni senza andare in default. Questo è solo un esempio ma se ne potrebbero fare molti altri, il concetto però è sempre lo stesso.
 
Qual è la finalità vera dei tests: da un lato attribuire un punteggio alla solidità dei conti, come già detto, ma dall’altro mettere in condizione le banche di fare il proprio e più importante compito: dare credito alle imprese prima e ai privati poi. Ed è proprio su questo punto che crediamo ci siano i dubbi maggiori: se uno degli insegnamenti della crisi del 2008 è stato che le speculazioni nonché la volatilità dei mercati sono pericolosissimi visto il livello di deregulation a cui abbiamo assistito, allora viene da chiedersi come banche che devono avere conti sempre più solidi e quindi con bassi tassi di rischio possano davvero finanziare imprese, start up etc.
 
Possiamo facilmente capire che se alle banche viene chiesto di tenere capitali immobilizzati e sicuri per poter far fronte a queste crisi impreviste, allora le stesse saranno sempre più prudenti nel concedere credito a chicchessia. E nei loro panni lo faremmo tutti. Solo che questo rallenta e non fa ripartire le economie dl vecchio continente che ormai da 10 anni sono ferme.
 
Ricordo che negli anni 60/70 il nostro paese parlava di crisi e di rallentamento dell’economia quando il tasso di crescita del PIL era sul 3% circa. Questo perché all’epoca i tassi medi erano superiori al 6/7%. Nessuno lo vuole ricordare, si sa, ma le nostre economie oggi gioiscono se si rileva un tasso di crescita dell’1%. Forse, e dico forse, banche sicure e inchiodate con crediti fermi e sicuri non fanno e non possono fare il bene di nessuna economia.








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