 | | La vita al tempo del Coronavirus | Raccontare è d’obbligo. Per qualcuno di più. La vita al tempo del Coronavirus è quella che vivi tra le barricate imposte, importanti per arginare questa velenosa pandemia, detestate da chi vede improvvisamente la vita cambiare insieme ad abitudini da rivedere. Non avvicinare, non stringere, non baciare, non assembrare, non commettere atti imprudenti, non tossire, non starnutire (e se proprio devi, solo nei gomiti. I propri naturalmente), non sottovalutare, non sopravvalutare. Non odiare. Dieci comandamenti al tempo della paura di ciò che è soprattutto sconosciuto. A cui si aggiunge non credere a tutto quello che ti arriva da ogni parte, e per capire ascolta, osserva, assimila attraverso un atto fondamentale che riguarda l’empatia, solo quella ti può far entrare esattamente nella testa di chi vive il tempo, al tempo delle paure, razionali e non. Così a girare ti ritrovi fuori da uno studio medico per ritirare la prescrizione di medicinali, e leggi cartelli che invitano a non entrare se non strettamente necessario, a dovere stampare le richieste da casa, e se non puoi allora tocca attendere, prego. E prega anche la vecchietta fuori dallo studio dalle 7 e 40. Seduta, composta lungo scialle sulle spalle piccole, rannicchiata in attesa. Dopo di lei arriveranno a gruppi sparuti e poi via via più numerosi tutti o quasi tra loro a debita distanza, in attesa un’ora di attesa, prima di accalcarsi, e spingere di lato la vecchietta che è troppo piccola per essere prima. Prima di essere accolti da un invito a ritirarsi "che se vi accalcate io non apro a nessuno" e alla vecchietta chiedere: "ma lei aspetta tutta la fila? Fuori?" e sentirsi rispondere: "E come devo fare? A casa i medici non ci vengono, e io sono sola". Il tempo del virus ha un tempo dilatato e stancante. Per chi lo vive in quarantena, e per chi la quarantena la teme. Per il giovane che dietro il bancone del bar osserva, studia chi entra e chi esce, e ha paura, soprattutto paura di essere licenziato perché ha sentito che "Se il titolare ha un crollo in questo periodo di crisi, può licenziare. E forse non ci spetta la disoccupazione. E allora se mi licenziano io che faccio?". Il tempo del virus ha un tempo dilatato, stancate, ansiogeno. Per chi lo vive attraverso le notizie che rimbalzano, per chi non teme niente perché: "io sono giovane e in salute, e la polmonite non c’è sempre stata?" e per chi risponde che: "Sì, c’è sempre stata e tu stai bene in salute. Ma chi vive intorno a te?". Perché il tempo del coronavirus è un tempo che appartiene a tutti, al senso di comunità, mina la socialità e la convivenza civile, il rispetto di se stessi e dell’altro. È un tempo dilatato, stancante, ansiogeno, commosso. Come si commuove chi chiude, chi non può lavorare a tempo probabilmente determinato, da chi? Da chi deciderà via via. Chiudono i cinema e chiudono i teatri, e chiudono quelli che ci lavorano intorno, dentro, accanto: "Mi viene da piangere" chiude con la frase che lascia interdetti l’ufficio stampa che comunica, che questo spettacolo slitta, che questo salta, che quest’altro forse si riprenderà tra un mese. Forse. "Un mese. Tra un mese mi devo sposare. Ho già tutto pronto e ho paura al pensiero che si dovrà rimandare tutto" la sposa è una tra tanti che aspetta e spera, spera di non rimandare. Rimanda la visita invece la donna che "Dovevo fare un controllo in oncologia. Non lo faccio. Ho paura di andare in ospedale. Oggi, con quello che sento". Perché il virus pare che abbia una scelta al momento: Anziani, immunodepressi. Immuni. Depressi. Da una parte, dall’altra, tutti accomunati da un’atmosfera surreale dove tutti sanno e nessuno sa. Mascherine che proteggono, forse solo dalla paura, e forse neanche troppo perché le scuole chiudono fino a data incerta, forse metà marzo forse di più, e chi lavora non sa come organizzare la vita, il tempo, i figli a casa mentre il resto continua a muoversi come la dottoressa che si tiene le mani sulla pancia "Ci hanno dato le mascherine. Da oggi. Ho un po' di paura. Aspetto un bambino". Aspettiamo anche noi, di sapere domani cosa accadrà contando i dati che cambiano momento dopo momento, contando i giorni che mancano alla riapertura delle scuole, contando le ore eterne di questo lunghissimo momento che speriamo non sia che un momento, che racconteremo poi.
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