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20 Agosto 2017 Cibo speziato? Il perché ce lo spiega Darwin di Alla Drobyazko
Cumino, aneto, cardamomo, coriandolo… Le spezie sono tante e ognuna svolge specifiche funzioni. Ciascuna cultura ha le proprie preferenze, dando alle proprie pietanze quel tocco unico che le contraddistingue da quelle di un altro Paese. Paul Sherman e Jennifer Billing, professore di neurobiologia e comportamento presso la Cornell University di Ithaca l’uno e insegnante di biologia e chimica presso la Dalton School a New York l’altra, hanno condotto uno studio sull’uso delle spezie in 93 libri di cucina relativi a 36 diversi Paesi (almeno 2 libri per ciascuno di questi), quantificando l’uso di 43 spezie, specialmente nelle ricette a base di carne. I risultati così raccolti hanno dato prova di un meccanismo darwiniano alla base della nostra dieta, per il quale le nostre abitudini alimentari risulterebbero essere il frutto di un continuo adattamento ottenuto nel corso dei secoli a componenti nutritivi che si dimostravano efficaci a difendersi da agenti patogeni. "Gli esseri umani fanno ciò che li fa stare bene, e imparano l’uno dall’altro", spiega Sherman. Ad esempio, secondo i dati ottenuti dallo studio, le persone che abitano i luoghi caldi del pianeta prediligono il cibo piccante perché le mantiene in salute: i thailandesi che scelgono di mangiare un piatto così speziato sono meno inclini a soffrire di diarrea. Lo stesso vale per i Paesi a clima più freddo, come l’Islanda, dove la tradizione culinaria prevede un minor uso di spezie poiché il freddo tende a rallentare la comparsa di germi nella carne, rendendo l’uso delle spezie a fini conservativi pressoché inutile.
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