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29 Ottobre 2013 Allo Smithsonian Museum di Washington arriva Frank di Fabrizio Paciocco
Nel 2011 era stata la volta di Mary, ovvero il Mini Autonomous Robot Vehicle, uno dei più piccoli robot del mondo presentato presso lo Smithsonian Museum of American History di Washington. Dimensioni? Appena circa 16 cm3. "Il punto era vedere quanto piccolo potesse essere un robot", aveva spiegato Barry Spletzer, ingegnere in pensione e scienziato presso il Sandia, il laboratorio che aveva sviluppato Mary.
In seguito sono stati creati altri robot minuscoli, il cui fine pratico era quello di poter essere inseriti in luoghi altrimenti difficili da raggiungere per condurre ispezioni, ricerche, o addirittura saltare su pareti o edifici. Difficile non ricordarsi allora di tutte quelle pellicole cinematografiche dove la robotica sembrava superare la fantasia, di Minority Report, per esempio, dove a un certo punto Tom Cruise, per sfuggire a minirobot di forma quasi aracnoidea che avevano la funzione di verificare l’identità delle persone presenti nel palazzo inviando un raggio di luce nella loro pupilla, si immergeva in una vasca piena di ghiaccio per far sparire la traccia lasciata dal suo calore corporeo e non far rilevare pertanto la sua presenza.
Ogni nuova tecnologia può sempre avere dei pro e dei contro, e non è certo un discorso che può esaurirsi in poche righe. Ciò che conta è che oggi, a far compagnia a Mary e a un altro centinaio di artefatti robotici ospitati allo Smithsonian, tra cui gli automi di Star Wars – R2-D2 e C-3PO per i nostalgici, arriva Frank, diminutivo di Frankenstein, un robot che grazie a un telecomando esterno parla e cammina, in virtù di una telecamera può vedere gli oggetti e può infine afferrarli con le sue braccia sintetiche. Ha anche pancreas, reni e un cuore meccanico che pompa – non sangue – ma un liquido artificiale.
Frank è stato creato da un gruppo di ricercatori di Zurigo in collaborazione con un team di ingegneri di Londra, tutti guidati dal dott. Bertolt Meyer, ed è protagonista dell’esposizione intitolata "The incredibile bionic man". Non è ancora dotato di intelligenza artificiale vera e propria, ma è comunque impressionante e di grande interesse soprattutto in campo medico, essendo prova, non vivente ma quasi, dei progressi scientifici operati nel settore delle protesi e in special modo di quelle destinate ai bambini. L’unica nota amara è che sembra essere sempre presente l’inquietante sensazione che se tanto nobile è il proposito in positivo di queste applicazioni, altrettanto mostruoso potrebbe essere il loro utilizzo in ben altri settori e con tutt’altri scopi…
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