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Cultura - LibriStefania Castella

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01 Luglio 2015
In Morte di una Cicala, di Maria Silvia Avanzato, incroci perfettissimi e atmosfere da film
di Stefania Castella



In Morte di una Cicala,  di Maria Silvia Avanzato, incroci perfettissimi e atmosfere da film
In Morte di una Cicala.
Maria Silvia Avanzato.
Fazi Editore

Immersa di lilla lavanda, tira su lo sguardo, quel suo sguardo un po’ orientale, fa sì con la testa a qualcuno che le parla chiedendo di raccontare, di divenire pagina dei suoi racconti. Sorride tra i libri, tra sbuffi felini di gatti sornioni. Parole, ispirazioni, mi dice che da piccola scriveva racconti e alla nonna raccontava: “voglio fare la scrittrice” aveva già le idee chiare, dentro, da sempre. È da allora che scrive, da quando ha imparato. Idee più limpide dei pensieri forse, i pensieri dei poeti, come quelli degli scrittori, hanno bisogno di essere sciolti come perfettissime tele di ragno, meraviglia, semplice complicazione.

 

Ironia e ombre di noir possono convivere o farsi la guerra, in ogni caso se generano capolavori come quelli della nostra autrice allora ben venga la coppia di fatto: Maria Silvia Avanzato e la sua scrittura (compresa di appassionata, critica, nonna) convivono benissimo, questo è il fatto. Incontro “In morte di una cicala” come incontro altri romanzi, come facciamo tutti, formandomi un’idea, creandomi un finale, e resto imbrigliata, non è come un altro romanzo, e mi giocherà, come non avrei creduto. Gioco di intreccio, mai banale.

 

Ognuno potrebbe riconoscersi, succede in qualche momento dell’esistenza, forse siamo stati tutti così, e molte, come le donne di questo scorcio di realtà, chi Barbara, in cerca di fuga con il bisogno di essere trovata, scheggia di vita di chioma selvaggia a raccogliere e dissolvere pezzi dispersi e disperati, chi Azzurra, l’altra parte, l’amica che salva, che cerca, che afferra, che perde, con la testa china ad ascoltare e raccogliere, salvazione e profumo di camicie da notte fresche di bucato

 

Qui tutto è evocazione, di ricordi, di sensazioni, di sogni, di odori e di pesanti passi trascinati nel fango a cercare un finale che non immaginerete, che non potrete costruire se non alla fine dell’ultima riga, dell’ultima parola. Un passo più in là di Bologna: Cima d’Argile, pioggia perenne e boschi quasi onirici che somigliano a pioppi da “Twin Peaks”, la struttura narrativa perfetta, incastra personaggi dettagliati, reali, immagini di un sogno che rassomiglia ad una pellicola di film in chiaro scuro. Ci guardano angeli di fontane incagliati a metà, ci spiano occhi nell'oscurità, rassomigliano ad una forma di vita quasi evidente, misteri omertosi e stupore che la vita reale in certe storie mostra.

 

Scivolosa riva di fiume, un bellissimo racconto, in cui ogni personaggio è messo dalla sua madre creatrice, sotto il nostro braccio, attraversa pantani di fango con noi e poi svanisce, smette il suo protagonismo, lasciandoci in balia di un resto che ci spiazza. Le parole di Maria Silvia Avanzato la bravissima autrice di questo stupefacente romanzo, sono un dono che è racconto di se stessa, del suo scrivere e sembrano a loro volta, parte di un ennesimo nuovissimo romanzo:

 

Chi è Maria Silvia?

 

Una bambina che ha decisamente passato molto tempo da sola e ne ha fatto tesoro, una ragazzina tendente alla ribellione, oggi una trentenne che coltiva lo stupore innanzi alle cose. Drastica nei distacchi, appassionata nelle unioni, esploratrice di mondi sommersi e attenta ascoltatrice degli anziani, disordinata e imprevedibile, testarda come un mulo e visionaria all'inverosimile. Una persona che passa fulmineamente dal “progetto campato in aria” alla pratica, innamorata del silenzio più che del caos, pericolosamente interessata alla botanica, accumulatrice di libri e paladina dei gatti, speaker radiofonica per caso, corista per hobby e scrittrice per mestiere, decisa a difendere un po’ di sacrosanta solitudine perché ciò che si impara bene da piccoli non si scorda più. Nel complesso è una persona per certi versi pessimista e difettosa, ma molto fortunata perché amata da tante persone. Persone che la conoscono. E le vogliono bene nonostante questo.

 

Come nasce la sua scrittura?

 

Anche in questo caso è tutta colpa della bambina solitaria. Ho passato i miei primi anni in un’avita dimora di campagna e gli amici scarseggiavano. A cinque anni sapevo scrivere (malissimo) alcune parole (inventate) e avevo trovato una vecchia agenda omaggio della banca. Così, pagina dopo pagina, ho messo per iscritto la strampalata storia di una coccinella del giardino, disegnandole attorno un avventuroso destino fatto di rapimenti ad opera di calabroni e insidie causate da tele di ragno. Il risultato fu una pessima e malconcia accozzaglia di parole, ma mi tenne buona compagnia e mi portò a dire “Io da grande farò la scrittrice”. Questo ho ripetuto da allora per quanto, anni dopo, mia nonna tossicchiasse e mi correggesse dicendo “La poetessa. Non dire scrittrice, poetessa è più fine. Non vorresti fare la poetessa da grande?”. No, non vorrei.

 

In morte di una cicala” è frutto di un’ispirazione casuale o una costruzione da perfettissimo studio?

 

Tutti i miei titoli sono casuali e molti di loro includono animali e insetti (che sia un tributo all'antica coccinella? Può essere), accosto qualche parola lì per lì e scelgo il titolo in base alla regola del “Secondo me suona bene”. I miei romanzi, più o meno allo stesso modo, partono da un flash momentaneo: un’immagine che si stacca da tutte le altre come gridando “Scrivi me!” e lì rimane, petulante, fino a quando non viene accontentata e lanciata su carta. Mi innamoro delle idee che scrivo fintanto che le scrivo. Quando il libro si conclude l’idillio svanisce e in genere resto in attesa di un nuovo amore: una nuova, casuale, irresistibile idea che solitamente arriva senza farsi pregare e prende il posto della precedente. Sono tutti amori passeggeri, ma sono amori.

 

Mi dice quale è il genere in cui si sente più rappresentata?

 

Il noir per tutta la mia inquietudine, il comico per tutta la mia allegria.

 

Chi sono queste giovani donne di cui racconta? C’è qualcosa di lei in loro?

 

Spero ci sia qualcosa di me negli uomini che racconto perché puntualmente sono i personaggi maschili dei miei romanzi a suscitare in me maggiore simpatia. Per le mie “donne letterarie” ho quasi sempre una pacifica e dichiarata avversione. In “Crune d’aghi per cammelli” la protagonista era un monumento di presunzione e cinismo. In “Adamante” ogni donna è offuscata dalla meschinità o dal delirio. Per “In morte di una cicala” possiamo individuare tre donne “forti”: la prima è una ragazza sbandata che lascia il proprio paese di origine inseguendo una chimera, la seconda è la timida e nervosa amica d’infanzia che la torna a cercare e la terza è una vecchia diva malinconica e inasprita. Non mi rispecchio in nessuna di loro e non si guadagnano la mia simpatia, ma sono fondamentali per raccontare le cose. Alle donne affido il compito di narrare il peggio perché possono farlo con una cura speciale, a loro lascio l’ingombrante fardello dei difetti e delle debolezze perché sanno tenerlo sulle spalle e andare avanti. Sono tutte eroine. Difficilmente positive, ma eroine.

 

Cosa legge di solito?

 

Leggo libri introvabili, li cerco per mesi, me li faccio spedire da magazzini sperduti, mi metto a scandagliare i mercatini dell’usato, chiedo aiuto ai miei amici librai. Quando un libro è poco noto o giudicato “minore” attira immediatamente la mia attenzione. Mi piace scoprire titoli rari, agguantarli, leggerli immersa in quella sorta di solitudine mistica che ti porta a pensare “l’abbiamo letto in pochi, è un privilegio, ho trovato qualcosa che il resto del mondo ha dimenticato”. Ho disegnato e costruito una libreria di libri perduti da mettere nella mia casa in montagna, ha una grandezza parietale e ingloba una finestra, vivo con la timida speranza di passare i miei inverni vicino a quel mostro di legno alto fino al soffitto a guardare la neve dietro i vetri e leggere quei libri preziosi.

 

Janet Frame è l’unica autrice che riesca a farmi tremare dalla prima all'ultima riga, l’ho letta tutta dialogando idealmente con lei, se potessi vorrei dirle “hai spiegato esattamente ciò che sento, hai usato le parole che non trovo”. E logicamente anche Janet Frame è sprofondata in quell'oblio inspiegabile che premia autori a discapito di altri. Nel caso della Frame, ingiustamente.

 

I suoi progetti futuri?

 

Passerò l’estate conducendo una trasmissione radiofonica su Radio Bologna Uno, a settembre mi tufferò nuovamente nel ciclo di spettacoli teatrali itineranti che mi ha vista protagonista negli ultimi mesi: ho scritto alcuni soggetti teatrali e ho la fortuna di metterli in scena con Teresa Fava che è prima un’amica magnifica, poi un’attrice formidabile.

Nei prossimi mesi uscirà una favola scritta da me e illustrata da Annalisa Bonetti, altra artista e grande amica, oltre a svariati racconti che compariranno qua e là per le antologie. Già da due anni svolgo lavori di ghostwriting e credo che continuerò a farlo. C’è un altro grande progetto radiofonico estero del quale al momento non posso parlare.

 

Il mio progetto futuro più grande è trasferirmi nella casa in montagna, curare il mio giardino, piantare ortaggi, coccolare gatti, spaccare la legna insieme al mio ragazzo, vivere senza tv, senza telefono, sperare che nevichi per passare lunghi periodi segregata in casa in un lieto isolamento e avere una pessima connessione a internet per non dovermi affacciare mai troppo sul mondo. In quelle condizioni suppongo che scriverò il prossimo romanzo o terminerò quelli che ho iniziato e abbandonato. E se così non dovesse essere metterò la legna nella stufa, taglierò la lavanda, andrò in paese a piedi indossando calzoni da uomo e sarò ugualmente la più felice delle donne.

 

C’è una domanda che vorrebbe le facessero?

 

Sì, “perché scrivere In morte di una cicala?”. Per parlare a quelli che hanno perduto qualcosa, a chi cerca una persona che scompare da un giorno all'altro e lascia spazio alle peggiori interpretazioni. A chi crede di poter tornare indietro per fermare la persona che sfugge, a chi la vuole disperatamente nel presente e lotta per averla. A chi “non ti lascia andare via” e ti torna a prendere. Una volta è capitato anche a me, ho tentato, mi è andata bene. Ho trovato una persona diversa, ma dopotutto l’ho trovata. Meraviglia di scrittrici italiane che non smettono di stupire,

 

Maria Silvia Avanzato “In morte di una cicala” Fazi Editore.








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