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25 Luglio 2015
Nel racconto, tra le trame, la più bella del reame
di Stefania Castella



Nel racconto, tra le trame, la più bella del reame
un celebre ritratto <br> della contessa
È buio dentro e fuori e tra le tende tirate a lutto, a venerare la dea in decadenza, ripiegata su sé stessa e sul dolore dell’età. L’ora più nobile per uscire, di notte, quando nessuno sguardo potrebbe indugiare, sul collo molle, sugli occhi velati di impellenza di tempo. Misteriosa dama, immersa nel nero delle sue trine, guanti alle mani, veletta sugli occhi, incrocia la scritta che la spinse via da quelle pareti di lusso, ora il lusso è in vendita, ha vetrine di maestosi gioielli. Niente a che vedere con quelli passati tra le sue mani, quelli sì che valevano troppo. Troppo. Contando le perle una ad una come una donna sfila il Rosario, passano i ricordi per cinque lunghissimi giri di perle. Ogni giro un sospiro, una lacrima, che le dame lacrimano facilmente, e lacrimando inginocchiano l’animo dell’uomo più impavido.


All'epoca sì che ne cadevano in ginocchio, al pari dei suoi preziosissimi, bellissimi piedi, qualcuno ne baciava la caviglia sottile, qualcuno si limitava a bramare, altri sopportavano, amandola in sordina. Virginia, una sfilza lunga di nomi, una sfilza ancor più lunga di amanti, la "statua di carne" come diceva quella principessa con la punta della lingua avvelenata. Quando passava il suo corpo bellissimo si apriva la folla come le acque al passaggio di Mosè. Perfettissima, incedere conscio di ogni movimento, non era certo una colpa essere nate belle. Virginia era nata bella, era già bella a sedici anni quando, il corpo da donna andava in sposa a quell'uomo che tanto pretendeva di amare la più bella d’Europa. E lei lo sposava, non fosse altro che per il diritto a quel titolo: Contessa, che somigliava a Principessa che era il sogno che portava inciso nella testa.
 
L’amore? Nessuna andava in sposa per amore, e lei non era un’eccezione. "Nicchia" la chiamavano per quel vizio che aveva di addormentarsi rannicchiata su una dormeuse con la classe delicata da regina. Fiera, elegante, e sicura, gli uomini pendevano dalle sue labbra, le donne, quelle labbra, le avrebbero strappate volentieri. Come quella volta al ballo delle Tuileries, già istruita per bene dal cugino importante, mentre ondeggiava verso il sovrano la folla saliva fin sopra i divani per ammirarla meglio. Vestita d’oro, tulle leggero e nient’altro a coprire la carne, avrebbero dovuto ringraziare, quella donna inginocchiata davanti all'imperatore, ipnotizzando quel sovrano perorava la causa. Immolandosi, pregata dal cugino Cavour, pur preso da lei, ma troppo timido per avanzare, due lacrime sul filo di perle valsero il biglietto dell’imperatore "sarà così anche per L’Italia". Le perle furono legate in cinque lunghi giri, l’Italia sarebbe stata legata a suo modo come quella collana, per rendere il sorriso alla Contessa triste per il suo paese diviso.
 
Grazie al passaggio per quelle lenzuola, l’Italia si univa, e lei? L’avevano forse ringraziata per questo? Avrebbero dovuto, anche le dame che abbandonavano ridicoli mutandoni per seguir la moda che la bella Virginia dettava. Mai più quella robaccia lunga alle ginocchia, calze di seta appuntate di pizzi e gioielli, giarrettiere intriganti, facevano la storia, facevano gola. Forse non aveva scrupoli, forse fin troppo sicura, e solo innamorata di sé stessa, ma era forse una colpa sapere di essere di bellezza dotata e vederlo riflesso negli occhi degli altri? Se le finanze suonavano cassa e lo sguardo ripiegato sull’ennesimo sguardo di uomo poteva aiutare, era forse una colpa? "È il mio carattere fiero, franco e libero che mi fa essere talvolta cruda e dura" come quando dava del "becco" a quel marito sfortunato e innamorato che continuò ad adorarla anche dopo la separazione, e che perdeva la vita durante un banchetto di nozze. Cosa poteva mai fare di sé, una donna sola se non cercare di sopravvivere? E come poteva mai sopravvivere una donna che creava scompiglio al solo sfiorare le vite degli altri? "Se solo non lo avessi sposato se invece di stare qui fossi stata a Parigi adesso a fianco al sovrano ci sarebbe un’italiana" diceva spesso.
 
E il tempo passava inesorabile sul viso perfetto, sugli occhi di ghiaccio sulle linee coperte di steli di seta. Tornare in Italia sembrò una punizione, con tutto l’amore che poteva provare, Parigi valeva bene tutt'altro. E tornarvi fu quasi rivalsa, fino al dolore di dover lasciare il bellissimo luogo abitato per anni, sfrattata da un uomo potente come una qualunque pezzente, anzi peggio ancora, come una qualunque. Coprite ogni specchio, l’immagine del tempo che era stato non tornerà più. "Non mi vedranno perdere, non mi vedranno cadere, non mi vedranno invecchiare". La donna oltre i vetri socchiusi, di tende pesanti, guardava fuori pensando alle storie del tempo trascorso.
 
Veletta sugli occhi asciutti, non piangerà sui ricordi passati. "Non mi vedrete invecchiare non vi regalerò questa soddisfazione". La vestaglia di seta verde, quella notte che univa l’Italia, scatti di ira soffocati per tempo. La tenda tirata, nessuno si volterà più, ma nessuno dirà: "guardala lì com'è ridotta la Castiglione". Tirate giù tutto, non voglio vedere, resterò qui in questo buio perenne, e nessuno vedrà il mio viso di oggi. Sarà così sarà buio fino alla fine dei giorni, Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria Oldoini Verasis Asinari, Contessa di Castiglione. La donna più bella del reame, in un tempo che fu. Parigi 1899.







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