 | due in uno spazio piccolissimo... |
Il suono della sveglia e il verso di Giorgio all'unisono. La sua mano a piombo sul fianco di Marta la fece sussultare. “Ah, l’hai messa tu la sveglia?” quando non toccava a lui svegliarsi presto, tutto il mondo doveva eclissarsi.
“Devo essere in tempo dall'avvocato, prima della chiusura per le vacanze”. Il perdono fu un amplesso rapido e un caffè bollente, mentre allacciava la fibbia del sandalo Marta allungò lo sguardo al letto dove il corpo intrecciato al lenzuolo sembrò una visione di plastica perfezione. Così era Giorgio, perfettamente scolpito, perfettamente lisciato dalle creme immancabili, perfettamente depilato, insomma una perfetta macchina del… ah questo lo aveva cancellato prima di pensarlo, perché da giorni la mente era occupata da altro. Alessandro, non faceva che ritornare. Alessandro, nei sogni leggeri del primo sonno, nel caffè veloce della mattina, nello specchio del bagno. Nella ruga accanto agli occhi verde scuro, nella copertina del libro tra le dita quel giorno di pioggia d’estate, nel primo bacio sotto il suo portone. Ale. Quattro anni dopo, ancora fogli su fogli e documenti da firmare, ancora sospesi e legati, nell'attesa di essere sospesi e slegati.
Forse. Alessandro così diverso da Giorgio, che stranezza. Marta ci pensava tra un semaforo e l’altro nel traffico scorrevole di quella mattina di quasi ferragosto. Come aveva potuto scegliere un tipo così diverso dal suo ex marito? Giorgio tanto attento alla cura maniacale del corpo, quanto Alessandro se ne fregava altamente. A stento la barba una volta ogni quattro giorni (quando andava bene). Impensabile per lui l’idea di un petto senza un pelo, per non parlare della palestra, pianeta sconosciuto. Giorgio in palestra ci lavorava. Dopo la fine del matrimonio buttarcisi per Marta, era stato, riprendere in mano la vita, riprendere in mano sé stessa, e tutto il resto sarebbe venuto poi. Stentava a credere che quel gran figo facesse sul serio, lei sì, bella quarantenne, indipendente, ma cuore strappato dalla delusione d’amore, lui, perfetto stereotipo dello scopa e fuggi, invece qualche mese dopo, Giorgio era lì a troneggiare tra letto e divano ad angolo, della casa nuova che lei aveva trovato proprio in centro, nel suo ritorno a casa, quasi a tradimento.
Pensare che proprio per andare via, quel matrimonio era andato in pezzi, quando l’offerta di lavoro della redazione sognata ad occhi aperti era toccata a lei, e virava verso Milano, aveva esitato sì e no due ore, prima di accettare, e perdere Ale, definitivamente. Vent'anni insieme, sacrifici e sogni mescolati, lui in azienda col padre, lei col sogno di scrivere, perseguito da sempre. Fare la mogliettina amorevole chiusa in casa, aveva funzionato per i primi anni, poi aveva cominciato a mancare l’aria. I primi tempi di andata e ritorno nei fine settimana sembravano una soluzione, ma tra articoli mal pagati, frustrazioni incombenti, ore di lavoro che toglievano spazio, lo spazio non fu più quello di un tempo. Le cene romantiche a due erano diventate via via un “comincia tu, che ho da scrivere due cose e poi arrivo”. Un tempo erano occhi da perdere nell'altro, poi piano piano alla passione senza freni era subentrato un silenzioso spalla contro spalla, e ognuno a guardare dall’altra parte.
Ora finiva tutto, ora due firme mettevano la croce su tutto. Eppure il senso di libertà non arrivava ancora.
Parcheggio svelto, occhiata allo specchietto, la camicetta da sistemare, la gonna da lisciare un attimo prima di uscire, e prendere le scale in fretta, varcando la porta azzurrina del palazzo a vetri, puntuale come sapeva essere sempre. Tredicesimo di ventiquattro piani, immensità tra scale, porte, uffici, desolazione del mese d’agosto e silenzio. Diventò quattro volte lei, negli specchi intorno, controllando di essere in ordine impeccabile. Lo era. Capelli in piega lunghi alle spalle, leggera abbronzatura da fine settimana in barca, longuette al ginocchio e seta bianca e bottoncini di madreperla per il sopra semplicissimo ma elegante. Nessun eccesso, era sempre stata rigida ed esigente, ora a quarant'anni, di più. Sentì un brivido pensando all'età di Giorgio e sorrise lusingata e maliziosa, prima di sentire l’odore di Ale evocato dalla mente.
La stanza a vetri dell’avvocato De Rossi ultima infondo al corridoio, la testolina della segretaria fece capolino tra lo stipite e la porta, cascata di boccoli rossi, pronta a fuggire via per le vacanze al primo segnale. La mano molle del dottor Emilio De Rossi, la poltrona di pelle comoda, la discussione sulle solite questioni economiche. “Crede che rifiutando il mensile di suo marito, pardon, ex marito, gli fa un dispetto? Se ne frega glielo dico io, quindi accetti e basta”. Moti d’orgoglio a parte, qualche firma dopo, tutto velocemente si era concluso. “A proposito” la testa tonda dell’avvocato guardava fuori “sa, è stato qui proprio un attimo prima che lei entrasse, vi siete sfiorati di poco…” credendo di fare il simpatico apparve ancora più insopportabile agli occhi di Marta di quanto non fosse già. In piedi e alla porta un attimo dopo la segretaria era già al secondo ascensore, mentre Marta raggiungeva il corridoio precedente. L’avvocato avrebbe preso le scale, come le altre volte. Infilando gli occhiali da sole e le porte dell’ascensore Marta non fece caso all'ombra dietro di lei. Quando si chiuse il passaggio, l’odore di dopobarba, forte, di muschio e cuoio penetrante, la fece voltare di colpo.
Eccolo, lui, davanti, dopo quattro anni, tra gli specchi come un sogno strano, ripetuto troppe volte. Le spalle dritte, i capelli leggermente brizzolati sulle orecchie, la barba sottile, il sorriso incerto e imbarazzato, Alessandro era come ieri, con lo stesso sguardo nel quale lei si era persa anni prima. Marta aggiustò gli occhiali sulla testa, mentre lui le tendeva la mano avvicinandosi per sfiorarla con un bacio leggero, un bacio da amici. Come non erano loro. Di colpo, il suo odore, le mani sulla schiena, il calore improvviso del suo corpo ritrovato, riportarono flash back ancora più vivi, di risate dimenticate, di discorsi lasciati a metà di un litigio per buttare via i vestiti, e perdonarsi tutto. Vicini, intrecciati, indissolubili, riconoscersi sembrava non essersi mai perduti. Tanti “perché?” che ritornavano improvvisi, “perché ci siamo persi? Perché ci siamo lasciati scivolare via? Noi che fermavamo il tempo insieme, che nessuno avrebbe mai creduto che, che sarebbe potuto finire…noi che” … Di fronte staccati. Marta ricompose i ricordi e i capelli, guardandolo negli occhi. “La mia ex moglie” lui sarcastico, come sapeva essere. Ma lei non riuscì a cogliere. “Come stai? Lavoro?” la voce roca era quella di sempre. “Bene, ora sono qui, sono tornata a casa, stesso giornale altra sede.” Alessandro la guardò come per trafiggerla di sensi di colpa. “Ah bene, ti trovi bene, penso, no?” “Si certo era…” “Quello che volevi, lo so”. Lo sai pensò Marta, io no non lo so invece, non lo so più. Cercò di sembrare lucida e serena “tu come stai?”. “Bene, ti ricordi di Laura? Ha preso in gestione la farmacia vicino casa sua, le serviva una mano, ci stiamo frequentando da un po’”. Laura chi se la dimentica…capelli di seta dorati, un corpo da sballo, due occhi azzurro mare, quel mare dove ci siamo visti la prima volta, e voi due insieme. Quelle notti d’agosto…Laura stronza al punto giusto, ricca pure troppo, non le mancava niente, eppure… Laura col culo sulla barca ad aspettare invano che tornassi, che partissi per Capri con lei e invece…io e te insieme la prima di tutte le notti folli, le nostre notti…
Marta non aveva risposto, si era lasciata scivolare in silenzio, mentre qualcosa la spingeva forte, improvvisamente contro la spalla di lui. Buio, poi luce fioca “Che cazz…” Alessandro se la ritrovò addosso, gli occhi fissi al display spento. “Deve essere un black out, non si accende nessuna luce”. “Merda” Marta sentiva l’autocontrollo svanire tra i colpi che iniziava a sferrare alle porte sbarrate. La calma di Ale la rendeva nervosa, o era altro? “Inutile che batti i pugni, chi vuoi che ci senta il quattordici di agosto in questo posto gigantesco a quest’ora?” Alessandro si era lasciato scivolare guadagnando un piccolo angolo di pavimento, le gambe strette al petto. Eccola, come sempre, viziata, prepotente, nulla che debba sfuggire al suo controllo e se non va come nei suoi piani… il pensiero di Ale senza perdono…
Eccolo, come sempre, arreso, senza mai nessuna reazione, ecco come sei. Il pensiero di Marta senza obiezioni… “Possibile che non ti scuote niente? Cazzo Alessandro cazzo, possibile che devi essere sempre così immobile?” Marta rossa di rabbia, Marta i capelli scomposti come quando era sopra di lui, adesso in piedi accanto, le gambe lunghe, abbronzate, bellissime, la mano le sfiorava salendo più su, fino a farle scivolare la testa all'indietro… Un sogno infranto dalla realtà…
“Che ti prende? Anch'io ho fretta, mi aspetta Laura per partire, abbiamo prenotato a “La Terrazza”, ricordi? Quel ristorante sul mare, in costiera? oggi ha un piccolo alberghetto…” “Te ne fa spendere di grana la bionda…” volutamente acida, Marta stava scivolando al pavimento a fianco a lui. “Scusa? Cos'è un moto di ritardata gelosia?” l’ironia di Alessandro sempre troppo seccante per lei. Che cazzo la porti lì quello è il…era, il nostro posto, il nostro, dove scendere i gradini della scalinata lunghissima abbracciati fino alla sabbia e …ci porti lei... “Gelosia? Figuriamoci, sono realista, una volta contavamo gli spiccioli…” Le gambe vicine, come una volta. Voglia di arrendersi, di scivolare piano uno nell'altro, sudare, infrangere ogni regola, dimenticare tutto, sentirsi dentro l’altro…prendimi non lasciarmi andare via, mai più… “Mi sembra che non tu non sia rimasta sola” la voce di Alessandro spazzò via i pensieri di Marta. “Mi sembra che ti sia rifatta una vita anche tu...?” Alessandro la guardò negli occhi fermo, immobile “Uno che…come hai fatto a sceglierti uno così? Ho visto le foto sul tuo profilo, al P.C. tipico fighetto…” Uno che ti scopa come volevi tu? Che poi ti lascia libera, che ti fa sentire indipendente, che ti ama, come ti amavo io? ...
“Giorgio non è un fighetto, è un ragazzo a posto che…ci tiene che…” che mi serviva per dimenticare, per dimostrare che potevo essere qualcosa anche senza di te… “Piuttosto quella, quella Laura, come fai a tornare con lei? Che cazzo, senza dignità, e senza, insomma Ale, come puoi portarla lì. Il nostro posto?” Marta era rossa di rabbia mentre avvicinava la bocca alla sua, infilandosi con le labbra tra le labbra morbide, stringendolo forte, mordendogli la lingua… immagine di un attimo… “Ti voglio ricordare che sei stata tu ad andare via, a scegliere. A decidere di seguire la tua strada, la tua passione, evidentemente non ero abbastanza, io.” Alessandro tirò fuori ogni parola col tono più duro che gli potesse venire. “E tu me lo dovevi impedire” E tenermi accanto e non lasciarmi andare via… “Troppe cose ti avrei dovuto impedire Marta, e ti avrei reso ancora più infelice di quanto già non fossi, quindi smettila di recriminare”. Alessandro aveva messo un punto senza repliche, mentre Marta sentiva quel calore agli occhi di quando avvertiva scendere la rabbia nelle lacrime che lui avrebbe baciato, asciugato in un abbraccio. Quei primi tempi, prima che tutto fosse trasformato e diverso, e pure le lacrime sarebbero sembrate capricci inutili, e i silenzi soffocanti e le incomprensioni impossibili da superare.
Avrei fatto qualunque cosa per te e lo sai… pensò Alessandro. Avrei sfiorato i tuoi fianchi senza stanchezza e tenuto aperti gli occhi senza neanche battere le palpebre per non perdere un solo attimo del tuo viso, per non perdere un solo attimo del tuo sonno, ti avrei tenuta stretta senza bisogno di altro, se solo tu avessi voluto… “Non mi hai mai detto ti amo” Marta come una nenia infantile aveva lasciato la frase nell’aria. “Tu invece si, Marta, mi hai detto ti amo tante di quelle volte… Prima o dopo aver fatto le valigie?” Rabbia, ora, saliva solo rabbia, nel cuore di Marta, negli occhi di Alessandro.
E tutto tornava, tutti i pensieri di quello che sarebbe potuto essere a parte tutto. A parte loro… “Cosa avrei dovuto fare, rinunciare? A tutto quello che …” Marta non riuscì a proseguire, tutto sembrò improvvisamente così grottesco e inutile e soprattutto tutto sembrò non valere nulla al loro confronto, quello che non erano riusciti ad essere. Mentre sarebbero rimasti per sempre rinchiusi in quella gabbia di specchi opprimente, al termine di tutto, alla fine del mondo…Faccia contro la faccia, e odori confusi e dita a slacciare bottoni e mani a infilarsi tra le pieghe della gonna e sospiri ansimanti e battiti di ciglia a distogliere vite… La luce tornò improvvisa, forte come prima. E un rumore sordo mosse l’apparecchio argentato, che ricominciò la lenta discesa. I due slacciarono gli sguardi, risalendo l’uno di fronte all'altro, contigui e distanti, Marta si specchiò sistemando il rossore del viso e il nero tra le ciglia, Alessandro tirò giù la camicia stropicciatasi di caldo e sudore. Come non ci fosse stato nessun presente, nessun passato, carte disposte, strappate, gettate, raccolte, due di due e poi due di altri, si aprirono le porte alla luce del resto del mondo, mentre all'unisono si voltavano verso il davanti. Era stato, sarebbe potuto essere. Illusione, pensieri sospesi.
Alessandro allungò la mano e un bacio senza colpo ferire, alla guancia di Marta, mentre cercava il numero di Laura al cell. che di impararlo a memoria proprio non gli riusciva. Marta infilò gli occhiali da sole, pensando che se avesse affrettato il passo si sarebbe potuta ficcare ancora tra le lenzuola con quel, come si chiamava, ah sì Giorgio. Si, Giorgio… Il traffico scivolava lento affannato di vite, così simile ad altre mille volte, mentre due si disperdevano in mezzo a mille altri, in mezzo a mille altre vite…in quella mattina di quasi ferragosto…
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