Rss di IlGiornaleWebScrivi a IlGiornaleWebFai di IlGiornaleWeb la tua home page
Sabato 13 settembre 2025    redazione   newsletter   login
CERCA   In IlGiornaleWeb    In Google
IlGiornaleWeb

RaccontiStefania Castella

CONDIVIDImyspacegooglediggtwitterdelicious invia ad un amicoversione per la stampa

12 Settembre 2015
E dietro la terrazza, un mare di ricordi.
di Stefania Castella



E dietro la terrazza, un mare di ricordi.
una terrazza sul mare

La terrazza aveva più occhi, un paio guardavano il mare difronte, un paio la montagna verdissima al lato. Aria leggera di mattino presto, sole ancora nascosto pronto ad affacciarsi oltre il pergolato, profumo di fiori e limoni, odore d’estate.

 

La donna avanzava lentamente, raggiungendo la balaustra di pietra grigia posò ai suoi piedi qualcosa di ingombrante tenuto tra le braccia. Oltre piccole colonne, visione di mare, paradiso di cielo e acqua a fare un tutt'uno, a ritemprare l’anima. La donna aveva quasi 60 anni e la pelle levigata, delicatamente baciata dalla luce, socchiudeva gli occhi trasparenti e li riapriva appena, per non ubriacarsi troppo in fretta, bevendo quello che il suo sguardo, immergendosi in quella meraviglia, rimandava dal petto al cuore. Onde delle quali si poteva sentire la carezza lieve su guance di riva tiepide. Animo calmo e in attesa, senza increspature. Si spostò raggiungendo il suo angolo preferito, all'ombra accennata appena del patio, da dove poteva, con lo sguardo, seguire ogni angolatura di quello spettacolo, fino ad accompagnare la montagna in discesa verso il mare, e la piccola villetta aggrappata al suo fianco. Sapeva che lei, l’avrebbe raggiunta.

 

Aspettò, aspirando lente boccate di fumo, dita sottili confuse tra sigarette sottili e sottili labbra, contornate di rosso profondo. Tra uno sbuffo di fumo che le fece lacrimare gli occhi, comparve improvvisa affiancandosi al dondolo, leggera, bellissima. Piccoli piedi, eleganti, bianchi, scalzi, l’abito blu a pois appena accennati a sfiorare le caviglie sottili si stringeva alla vita allargandosi al seno, dondolando, i capelli lucenti, le sfioravano il viso, perfetto. Occhi di mare, acqua limpidissima raccolta tra le ciglia.

 

La donna sorrise, la giovane rispose al sorriso sedendo tra i cuscini, cullandosi piano. “Spero che tu sia felice, qui, adesso” la voce della donna, profonda e rauca, rompeva il silenzio dell’aria immobile, mossa solo dal gracidio del dondolo. La giovane arrestò il movimento, puntando i piedi al pavimento ruvido: “è qui che volevo tornare lo sai. Sono felice, ti ho aspettato tanto. Dimmi come stai, sei triste? La clinica, come hai fatto ad uscire?” la giovane parlava veloce, mangiando veloce anche l’aria, guardando lo scorcio di mare davanti, che adesso brillava di tiepidi raggi di sole indolenti. “Sto bene, sto meglio, hanno creduto mi avrebbe fatto bene uscire dopo tutti quei mesi d’inverno. Se rispondo bene, mi daranno altre possibilità”.

 

La donna guardava con gli occhi profondi verso gli stessi occhi profondi difronte. “E lui? È tornato?” La giovane chiedeva continuando a spingersi piano tra i cuscini scoloriti del dondolo. “Oh sì, come immaginavo. Tornano sempre, lo sai”. Mentre parlava, la donna, cercò in una scatolina piatta, una nuova da accendere. Soffiò il fumo in alto, con un gesto teatrale del capo. Le piaceva essere teatrale. Lo sguardo della giovane si fermò su di lei “lo dici tu. Non è sempre così. Non tornano tutti, non tornano sempre. E non tutti perdonano. Come hai fatto a perdonare, tu? Me lo sono chiesta tanto, sai…” “Non ho perdonato” la donna rispose senza guardare la sua interlocutrice “ho solo aspettato. Quando arrivi ad una certa età, è così, fisiologico, il bisogno di conferme, la paura. Hai bisogno di sentirti vivo, succede.

 

Arriva la ragazzetta, ti gira intorno come un’ape in cerca di nettare. Tu sei un uomo brillante, ancora, affascinante, ancora, ma cominci a tentennare, a dimenticarlo. Attiri la piccola ape, e credi che abbia bisogno di te. E sei tu che hai bisogno di lei. Succede a tanti, sai? Non occorre fare nulla, solo aspettare che l’apetta cambi il giro, che lasci il fiore che ha prosciugato abbastanza, che tu stia lì ad accorgertene in tempo per ridargli vita. Io stavo lì ad aspettare che tornasse, ed è tornato”.

 

Lontano un’ombra piccola a piedi nudi sfiorava la riva, arretrava all'arrivo dell’onda, giocava lambito appena dall'acqua freschissima, coi pantaloni arrotolati alle caviglie. “Guardalo lì, un bambino romantico. Raccoglie i sassi” La donna fece un cenno di saluto ricambiando il cenno dell’ombra sulla riva che mandava baci. “Lo fa sempre, ritorna, e quando ritorna è meglio di quando è partito. Guarda, li raccoglie, me li regala come fossero preziosi rarissimi” La giovane sembrava commossa “che strano a pensarci, un uomo che lascia per una donna più giovane. Un altro che va via per una donna più grande. Ero troppo banale per lui probabilmente, non ero quella di cui aveva bisogno”.

 

La voce sembrò rassegnata. “Se solo tu avessi aspettato. Se solo mi avessi raccontato…” la donna sembrava addolorata. “Non sanno tutte aspettare. Non tutte. Non io. Non ho avuto il tempo di pensarci, in fondo. E neanche il tempo di raccontare. E poi i tradimenti si somigliano un po’ tutti. Prima il sospetto, poi la ricerca, poi la conferma. Lui che finge, che inventa, sapessi quante ne ho sentite. Il lavoro, la riunione, la partita di calcetto quando in vita sua non aveva mai toccato un pallone. Correva da lei. Alberghi, teatro, al mare, alla villa, la spiaggia privata… Sospetti e poi, segui e poi… la conferma” Allungò un dito verso il palazzo di fronte, a picco sul mare. “Lì cenavano, guardavano il mare, vedi la terrazza? Ero nascosta lì quella sera d’estate quando li ho sorpresi. “Non facciamo scenate”. Solo questo ricordo che disse. Pensavo che l’avrei odiato. Ma quando ho voltato le spalle ho sentito il dolore mentale diventare fisico. Il dolore dell’anima diventare una fitta reale, che stringe il cuore in una morsa e più avanzavo per andare via, più sentivo loro dietro di me, due cose in una, e il dolore che spaccava.

 

Pensavo come i bambini: “Ti prego non portarmelo via...” Sentivo le lacrime scendere, mi vergognai tanto. Tutto così stupido e inutile. Poi non ricordo più nulla” “Perché sei andata da loro?” La donna chiese avvicinandosi a quel viso davanti a lei. Guardava il profilo perfetto sfiorato dai capelli dorati, sottili. Avrebbe voluto toccarla, stringerla forte. “Non lo so. Non lo so, forse, solo per l’illusione che mi faceva pensare, non può essere vero… era vuoto, era buio, ho guardato di sotto…non ricordo più niente”. Di fronte, occhi negli occhi, il dolore passava da un cuore all'altro, la giovane sollevò le spalle e voltandosi aprì le braccia “Il dolore non passa mai”… Sfiorò il viso della donna, improvviso il calore somigliò ad un abbraccio, la donna sentì l’odore dei capelli della giovane, il suo corpo sottile stretto tra le braccia, il fiato fermarsi come il vento, in un attimo. Le lacrime scendevano piano, bagnando i capelli di entrambe. “Tienimi così, come quando ero piccola, come quando mi dicevi non ci lasceremo mai… e io ci credevo veramente. Mamma mi dispiace tanto…” Restarono a cullarsi in quell'abbraccio sospeso, per un tempo indefinibile, poi la giovane si scostò dalla donna “adesso devo andare, ti prego non parlare più di me, altrimenti non ti faranno più uscire da lì. Non devi più dire che mi hai vista, mi hai capita?”.

 

La donna non rispose, piangeva ancora, in silenzio, senza fare rumore. I passi appena accennati del giovane, comparvero improvvisi “Andiamo è tardi, è ora di rientrare”. La donna alzò la testa e sembrò agli occhi del giovane una bambina abbandonata in un capriccio senza consolazione, diceva “No” ed era disperata, abbandonata a quel dolore. Il giovane si avvicinò piano, raccolse il vaso messo ai piedi della donna, avvicinandosi alla balaustra tirò forte, aprendolo, voltandolo, la polvere si liberò nell’aria. La donna non si mosse, lasciò che tutto si compisse guardando nell’aria quell'aria farsi scura all'improvviso, e poi tornare il sole. Teneva i pugni stretti tanto che sentì il dolore tra le dita. Poi si sciolse asciugando gli occhi. Il giovane raccolse quell'involucro vuoto di pietra e quello ancor più vuoto di donna persa a guardare gli ultimi granelli di polvere disperdersi nel vuoto, la prese sotto braccio, accompagnandola lontana da quell'attimo oscillante di dolore. “Papà ci aspetta e se ritardi, la prossima volta sarà difficile farti uscire “. La donna si voltò per un momento, nell’aria lieve e calda vide l’ombra della giovane, in piedi sulla balaustra, la guardava sorridendo, salutando con la mano, con un dito sulle labbra mandò un bacio, disse “shhh” sorrise si lasciò andare. La donna mise le mani alla bocca, per trattenere un urlo, soffocandolo, stringendo gli occhi. Lui le prese la testa, poggiandosela sulla spalla forte, per non farle più vedere, per non farle più sentire, la tenne stretta un passo dopo l’altro finché non sentì che aveva smesso di resistere e avanzava senza opposizione. Arrivarono fuori, legati in un abbraccio che sembrava soffocare, adesso lei era lì, dove doveva essere, niente c’era più in sospeso, niente da tenere. Si strinsero lasciando alla terrazza quei ricordi senza tempo, senza più un passato andato via senza perdono.








  Altre in "Racconti"