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17 Ottobre 2015
io lui e quel Diavolo di capo...
di Stefania Castella



io lui e quel Diavolo di capo...
Il Diavolo
veste Prada,,.

Miranda, ciuffo sugli occhi, tazza in una mano e telefono incuneato tra mento e spalla con l’altro arto faceva segni strani al nostro cospetto, tipo volteggi nell’aria a destra e sinistra che dopo cinque sei minuti tutt'e tre realizzavano potessero significare “teste di cazzo passatemi una penna”. Ci era arrivata Anna per prima e con un balzo da concorrente di quiz serale che indovina la risposta, era scattata lasciando me e la sedia roteare a vortice.

 

Ecco quella al telefono è Miranda la nostra “capa” vabbè direttore, come è scritto bene sulla targa dispersa tra carte, fogli, foto, libri in ordine sparso sulla sua scrivania. In realtà il suo nome sarebbe Mariangela tutt'attaccato, Mariangela Manzieri della “Manzieri Editori”, ma per noi era la cosa più vicina alla Meryl Streep del “Diavolo veste Prada” per cui per noi ormai era Miranda e basta.

 

“Manzieri editori buongiorno” questo dicevo molte volte al giorno, da otto anni più o meno a questa parte. Dicevo buongiorno e guardavo la tastiera perché mai e dico mai che mi fosse diventato automatico il passaggio telefonata linea – capo. No maledizione maledettissima tastiera. Ogni volta il tasto era sempre quello sbagliato e allora si sentiva lo squillo del telefono nella prima stanza, nella seconda, nel ripostiglio, nel corridoio stramaledettissimo, se pure spatifillo (la pianta) avesse avuto la sua scrivania con un telefono, avrebbe avuto il suo squillo pure lui.

 

Si sentiva lo squillo in ogni dove, finché Miranda non urlava dalla vetrata “Sara! È per me? Che cazzo ci vuole?”. Mai una parola gentile dico io, quel l’incrocio tra un serial killer con i tacchi e la Mara Maionchi nei giorni di luna storta. Però le ero grata per tutto, per questa pazienza specialmente, per non avermi sbattuta fuori alla prima settimana di prova (sembro in prova ancora ora, dopo otto anni) per le tante volte che: “Mi passa la signora Manzieri? Grazie” e si staglia un silenzio abissale in cui non sai se sei stato ingoiato in un buco nero, aspetti di sentire una voce e la senti, è ancora quella voce che dice “dottoressa Manzieri sono la...” e ti tocca un “no no, scusi, sono ancora io e …” e che palle, non è possibile … oppure un suo “questa è la lista di quelli che non mi devi passare, ok? Non li confondere con le chiamate urgenti, ok?” certo, fidati … rispondere, ricordare, confondere, sopportare qualche urletto, questo è quello che faccio per la maggior parte del giorno dalle nove alle sei. Con gratitudine per l’inettitudine.

 

Sarei grafica pubblicitaria, ma la correzione delle bozze che arrivano di solito, parte da destra arriva a sinistra fa una leggera sosta al centro (dove ci sono io) e poi ritorna a sinistra tra le mani di Anna. Anna è la mia collega di sinistra, mentre Adele quella di destra. Sì, siamo disposte come Gesù e i due ladroni al lato. Solo che una, è una punk che mastica gomme e fuma come un turco sbattendosene del cartello “vietato fumare”. Quarantacinque anni, un fisico da ventenne.

 

Anna corre ogni giorno, beve la sua premuta d’arancia biologica alle dieci ogni mattina, è sposata con Mauro infedelmente da 15 anni, accoppiata a lui da rito celtico (non so bene cosa voglia dire). È precisa, veloce, non guarda i tasti, lei li inventa e sono i tasti che vanno a lei. Beve come una spugna (e non solo aranciate) corregge ad occhi chiusi. L’altra alla destra, Adele, 36 anni larga, molto larga, da quando la conosco è sempre stata incinta, oppure in maternità. Sennò in assonnato assetto da maternità per l’appunto. Due gemelle di sei anni, un maschio di quattro e un altro in arrivo, le dico sempre: “cacchio Adele, legare le tube o legare tuo marito al termosifone no?”. Tra un po’ entrerà nella fase parcheggio su rotelle di sedia blu in imperterrite partite di Candy Crash e lamentele per il fumo, per il freddo della finestra aperta, per il caffè che “solo l’odore mi dà la nausea.” Poi considerando i trenta chili in più sotto i quali non l’ho mai vista scendere, dico cavolo, non sei Kim Kardashian datti una regolata… guardare la faccia bianchissima della punk e i novanta chili da gravidanza di Adele mi facevano benedire la singletudine.

 

In fondo non ero sola. Ero con la mia nonna, ottant'anni e non sentirli, amante dello yoga, dei libri, delle motociclette, dei gatti. Due dividevano la casa con noi, il maschio Mal e la femmina Diana. Non state a scervellarvi sul significato dei nomi gattari, non ci si può arrivare con un minimo di sanità mentale. Mal, diviso tra il ricordo del cantante preferito e il diminutivo di Marlboro, come Diana, non la dea, ma la marca di sigarette.

Al settantottesimo compleanno una crisi respiratoria l’aveva costretta a smettere di fumare, e non se ne era capacitata (so che fumava di nascosto comunque e non so quale delle due passioni tra il cantante e il fumo fosse più deleteria, non solo per lei…)

 

 

“Aò, che diceva al telefono?”. Adele sgranocchiava salatini a detta sua, anti nausea, e cercava di capire la telefonata e l’agitazione di Miranda. “Spero solo che non sia niente che rompa le palle a noi, tipo ragazze ho un appuntamento stasera, devo andare, farete più tardi e bla bla. Non posso fare tardi stasera, c’ho le gemelle con la tosse e devo…” “Adele, quelle non sono gemelle con la tosse, sono tosse con le gemelle intorno.” Le gemelle avevano “fatto” tutto, in sei anni di vita, orecchioni, morbillo, rosolia e non certo in termine di vaccinazioni. Pensare che avrei potuto far parte della schiera anch'io.. i primi tempi passando per il piano ammezzato avevo notato quel tipo con le spalle larghe. Reparto fattorini, corrieri e amministrazione. Si, la struttura era costruita a piramide dove il ruolo saliva di un piano secondo il grado. Naturalmente non avendo nella vita nessun ruolo fisso e normale, io mi dividevo tra il secondo e il terzo, tra la grafica e la segreteria.

 

E vedevo quel Giovanni metà blu, metà giallo, mezzo uomo, mezzo scooter, mai visto senza tuta, senza due ruote tutt'uno, senza casco. Immaginavo di vedergli togliere il casco e che ne so, muovere cascate di riccioli lucidi…o di partorire figli suoi metà gialli metà blu, e il sogno svaniva nell’ultima spinta con casco a fare capolino. Poi c’era stato il primo piano amministrazione (bis) e contabilità e Giuliano, muscoloso, possente, barbuto, sempre incazzato, incuriosiva le mattine di ascensore scassato e piano da raggiungere a piedi. La prima volta che ci eravamo visti per una pizza, aveva calcolato l’iva della margherita compreso il tasso percentuale del coperto che valeva la pena di etc. etc. e ogni volta che raddoppiava le lettere con il suo accento sardo da un lato mi affascinava tanto, dall'altro sembrava volesse farmi un cazziatone, qualunque cosa dicessi.

 

Basta, in otto anni due esperienze erano servite solo a farmi crogiolare ancor di più nella mia bellissima, singolarissima libertà. Fino a quel giorno autunnale almeno. Eravamo in piena pausa di metà mattina, per l’esattezza di quei lunedì mattina che si sa, son parenti alla domenica e per di più in fase quasi letargica da venticello leggero fuori, maglioncino sottile che accarezza la pelle accompagnandola al sonno.

 

Insomma Anna smanettava fumando al cellulare, Adele si accarezzava la panzona, leggendo notizie interessanti su “mamma on line” e che cavolo c’era ancora da sapere dopo quattro figli mi chiedevo io, che perdevo neuroni disegnando inutili baffi alla signorina preimpostata, nel programma di grafica vanamente installato.

 

Prima di lui, si sparse il suo profumo e come cani da tartufo cominciammo ad odorare l’aria, naso in su. La più tartufesca naturalmente Adele, la gravidanza si sa, affina i sensi. Neanche il tempo di accostare le candide nocche all'uscio per il primo tocco, che il tipo aveva spalancato subito la porta su quell'umanità dispersa nell'indolenza mattutina, riportandoci allo stadio elettrico, schiena ritta in un secondo. “Scusate Mariangela è in sede?”.

 

Allora, il primo pensiero per tutte, fu “che figura di merda” il secondo “Mariangela? Chi cazz…” subito chiarite in corner e rimesse in campo alla svelta da Anna: “La signora è fuori a pranzo, tornerà tra una mezz'ora. Un caffè?” aveva sparato tutto in un secondo, in una sola sillaba e in risposta un sorriso da accecare: “No, grazie mille, aspetterò qui, allora”. Si era disperso nel suo odore buono, portando via due occhi che non erano il solito verde acquitrino in cui annegare, o blu oltremare da principe che ti rapisce. I suoi occhi grigi, sì, grigi, volevano dire tutto, ogni parola che si potesse essere in grado di sentire con orecchie umane. Grigi, come quelle spiagge di fine estate che luccicano accarezzate dall'onda, quell'onda che vorresti essere..  

 

Restò un tempo fermo, immobile, mentre si sentiva solo lo scrocchiare imperterrito di Adele che ancora masticava: “Però...” Luca, questo il nome, si era infilato in stanza con il boss delle boss, che lo aveva accolto con gridolini di entusiasmo prima di sparire con lui dietro la porta a vetri smerigliati. “Ma tu pensa quella vecchia...” Anna non conosceva il valore della mezza misura. Da allora ogni giorno Luca si affacciava infilandosi in stanza con la vecchiaccia urlante generando chiacchiericci a non finire. Intanto dall'amministrazione ai piani alti, si vedevano cose che l’occhio umano avrebbe stentato a catalogare.

Botoli mai notati prima, in tacchi vertiginosi in traballanti incursioni. Mai viste prima di allora… Scie di profumi maliardi e impossibili e molte laccature di teste mai notate prima. Insomma Luca aveva riportato la vita dove non c’era che battere di dita sui tasti, squilli di telefono a vanvera, e scoppi di palloncini da chewingum.

 

Qualcuno diceva che pure la Mariangela sembrava diversa ora, più sorridente, più puntuale, qualcuno l’aveva vista spalancare la finestra sorridendo e fumando come una diva e intravisto lui alle sue spalle. Sembrava di essere su un set cinematografico date le sceneggiature che si sentivano di volta in volta. Ma il peggio fu quando il direttore editoriale, un tale dalla faccia tanto simpatica che al passaggio si dischiudeva la folla in due per paura di essere incenerita da un’occhiata, mi aveva, con dito puntato in faccia, comunicato che la copertina del prossimo libro di filosofia del professore eminentissimo (pallosissimo) che curavamo, sarebbe stata mia.

 

Ci avevo lavorato col batticuore per settimane, poi tutt’a un tratto la signora Crudelia Miranda Demon nel chiedere caffè “per me nero, per Luca macchiato leggermente” cosa che dovevo consegnare io, senza giri di parole mi diceva che si sarebbe occupato lui del disegno per il libro. Potevo lasciar stare il progetto. E lo odiai con tutte le forze. Quel bellimbusto aveva lavorato bene evidentemente, tanto da avere la copertina di un’uscita (vabbè certo non proprio un capolavoro) nel giro di così poco.

 

Tsè, a letto col capo. Pensavo e non mi toglievo quell'idea dalla testa. Con quell'idea mi ero seduta, avevo sopportato il fumo di Anna, le lamentele di Adele, il cartoccio unto di arancini comprato dalla nonna di ritorno dallo yoga, e l’alzata di culo dei gatti indifferenti alla mia faccia incazzata. Non avevo che lui nella testa. Maledetto lui che aveva preso parte del lavoro che mi piaceva tanto, l’unica cosa decente che avevo (a parte i gatti) e la possibilità di fare quello che sapevo fare, e dimostrarlo. Fanculo.

 

La sua scia cominciava a darmi sui nervi, quell'odore di maschio che stende femmine adoranti. Lo sguardo luccicante sul tavolo da disegno e il sorriso più dolce che un esser umano potesse avere… Non avevo il coraggio di guardare il suo disegno, mi perdevo ne suoi occhi ma mi faceva incazzare che dovesse lavorare ad un progetto che poteva essere mio… Poi una mattina in cui la bella arpia l’aveva cercato per alcune incombenze da seguire al quarto piano, mi ero spinta a sbirciare la tavola a cui lavorava da un po’.

 

Bè quella testa sembrava una fotografia, effettivamente il pensatore era fatto discretamente bene, ma rassomigliava pure alla mia idea e… bravo, pure copione. Gliene avrei dette quattro ma non mi reggevano tanto le gambe, probabilmente le gemelle avevano trovato un passaggio virale transitando dalla mamma a me e adesso mi bruciava la gola, mi tremavano le gambe, insomma dovevo avere la febbre. Avevo bisogno di andare a casa e quando iniziai ad organizzarmi, lo incrociai improvvisamente. Gli occhi lucidi dicevano chiaramente che avevo qualcosa che non andava, così insistette tanto a volermi accompagnare. Con la metro non sarei arrivata troppo lontano.

 

Ho dei ricordi molto sfocati di quella serata. Sapevo che la nonna era fuori per una partita di burraco, che sarebbe tornata tardissimo, che non ricordavo lo stato in cui era la casa e se lui fosse salito… Non mi reggevo molto bene in piedi, così mi accompagnò fino alla porta e pensò bene di aiutarmi a distendermi sul divano. Fortuna non c’erano mutande o scarpe in bella mostra in giro, pensai, prima di collassare.

 

Quando mi svegliai improvvisamente, la luce sul comodino virava sulla sveglia: ore 01.45. Cacchio era tardissimo, mi voltai e vidi un uomo mezzo nudo accanto a me che ero a letto in canottiera e culottes. Ecco, ora in quel momento a causa di un blocco elettronico del cervello, emisi un urlo che uscì senza controllo e un “che cavolo abbiamo fatto?”

 

Luca spalancò gli occhi cercando la camicia e una scusa plausibile “avevi la febbre, ho pensato che… avevo caldo, ho solo tolto la camicia, non è successo niente. Veramente” avevo poca forza ma con quella poca mi alzai tenendo il lenzuolo intorno ad una dignità semi perduta per farlo uscire come si fa con un insetto rivoltante. Non ebbi il coraggio di farmi vedere per i giorni successivi in giro, in ufficio, e non rispondevo alle chiamate dei miei ladroni affiancatori. Volevo sparire. Però più ci pensavo, più realizzavo che tutto era un pochino ingiusto, che sarebbe stato più logico tornare e riprendere quello che era mio, chiarire e … tornai.

 

Senza farmi annunciare tornai che non erano ancora le nove, per essere sicura di trovare le parole giuste quando sarebbero arrivati tutti. Aprii la porta, convinta di essere da sola ma lungo il corridoio sentivo voci distinte di un uomo e una donna, provenivano dalla stanza del capo. Avanzai e non so per quale motivo la porta era stranamente socchiusa e m’infilai senza bussare. Davanti a me di spalle, lui, e lei inginocchiata di fronte. Non so cosa sentivo quali frasi, quali parole, cosa, come, ma la tazza di caffè che avevo in mano con un sussulto si era sparpagliata sul pantalone, sul tappeto persiano gigante, su un angolo di muro e le scarpe lucide e soprattutto quei due mi guardavano come l’ultimo essere sulla terra. Lei ancora in ginocchio, lui assestò bene il pantalone, e la Miranda-Streep tirò staccandolo il filo che aveva tra le mani e la bocca. “Grazie nonna, che cavolo tua figlia non sa nemmeno sistemare un bottone…” lui si era voltato verso la rigida donna che adesso mi guardava come per chiedere “che cavolo ci fai lì impalata ad imbrattare l’ufficio di caffè?”. “Nonna?” dissi solo questo, poi cominciai a sperare in tutte le lingue del mondo, che si potesse scomparire, che potesse avvenire un processo di liquefazione, avrei potuto svenire magari. “Mio nipote, figlio di Arianna la mia figlia maggiore, mi parlava del progetto della copertina di De Sanctis, quella palla di libro a cui lavoravi. Mi diceva che pensava ad una fusione tra il suo disegno e la bozza che aveva visto del tuo”. Non ci credevo, non era possibile.

 

Qualcosa tornava, insieme al sangue al cervello. E per un attimo, credo, ritornò l’amore per il mondo, per quella vecchiarda, pure per tutta l’amministrazione del piano ammezzato… Il progetto si fece, la fusione anche, più di una fusione a dire il vero. Tant'è che oggi quando inoltro la linea, devo stare attenta a passarla a mio marito Luca o alla sua nonnetta Mariangela… bè che dire, non è andata poi così male. Divido la stanza con le due ladrone, ma adesso è più larga e la ladrona di sinistra ha un angolo più grande dove allargarsi in nuvole di fumo mefitico. Adele ha partorito un figlio maschio e sta pensano che sarebbe carino avere un’altra femminuccia….

 

E io vado a casa col capo, se non altro non mi tocca aspettare la metro o il bus per ore, almeno adesso, con questo pancione, chissà che non siano due gemelli…








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