 | | vicoli e vite |
Flash back e rumori ovattati, voci che non sentono escono da bocche che ruotano intorno, senza voce. Strizzo gli occhi troppa luce. Troppe cose, troppo tutto “dove è lui?” Mi sento spingere, tirare, strattonare più forte, guardo una bocca dice “Che cazzo avete fatto?” lo dice più volte e poi un’altra ancora, chiedono tutti la stessa cosa - Che cazzo hai fatto - che cazzo ho fatto? - non ho fatto niente. Niente io, niente. È stato lui. Ma lo penso e non lo dico e non lo dico perché lo amo. E lui mi ama e poi ce ne andiamo a vivere insieme e lui lavora alle gomme e io lavoro alle unghie delle signore e poi viviamo felici come quelli della tele e… non ricordo niente no, non ricordo niente. Si, solo la puzza dopo lo sparo, la puzza di bruciato come quando ti scordi la bistecca sul fuoco o passi una mano sul fornello che non te ne accorgi. Lo sparo ha lasciato la puzza, il fumo e un rumore forte e poi niente più. “Commissario la ragazza è qui”. A Napoli la nebbia che neanche in Val Padana quella fuori e quella dentro da sciogliere da dipanare per cercare di vedere bene. Il commissario ha gli occhi azzurri ma non si vedono bene, troppo coperti dal sonno, dalle borse di notti su notti. È ammaccato, stropicciato e mai sbarbato. Il suo secondo ha un profumo da donna e la bocca insolente, forse se la intendono. Il commissario strofina la faccia, la bocca, le carte e il caffè che macchia in un cerchio perfetto il tavolo consumato di vecchio legno segnato dalla polvere.
Ma che c’avrà 13 anni, che c’avrà l’età di Marco… e si certe volte mi pare che tutti somigliano a Marco certe volte tutti i tredicenni mi sembrano Marco. Marco a terra, Marco che corre, che fa lo scemo con gli amici che mi sfotte “Papà ma chi te lo fa fa’? Ma lascia stare ste’ carte e andiamocene a mare. “Guagliò a papà se tutti quanti ce ne andiamo al mare che succede a questa città eh?” “Eh sì che vuoi fare il supereroe. Io vado con Fabiana allora, mi viene a prendere col motorino. Si nun assillà stiamo attenti”. E Fabiana che non mi piace che c’ha il padre che è stato dentro per spaccio, e Fabiana che “è una brava ragazza papà, mica come suo padre, lei studia si vuole prendere il diploma, vuole fare pure l’università”. E le storie che fai, inutili, le parole, troppe, troppe volte distratte. E quella zona “non mi piace che tutti quelli che vengono da là so’ tutti uguali” e non è vero e lo sai, ma continui a pensarlo e a distrarlo e lui esce e il casco… Il casco lo prendo io, lo guardo, lo guardo ancora dopo tre anni è sempre uguale. Se lo avessi preso se non ti avessi assillato forse, e se ti portavo io in macchina “Qua non si fuma “. La faccia di Amalia è sfrontata e innocente con il nero intorno agli occhi e la bocca disciolta di rosso. Spegne la sigaretta con le mani da bimba. “Io nun me ricord’ commissà”. La voce è roca come le voci di tutti questi figli dei vicoli, con le facce belle come le sculture greche e le voci dell’oltretomba. Il commissario trattiene una risata inutile. “Mi devi dire che è successo a tua madre.
Allora ti chiarisco un paio di concetti ca’ te so sfuggiti. Tua madre è morta, tre colpi, due a vuoto, uno daltonico in basso, uno solo l’ha presa in pieno come uno che vuole fare il giustiziere. Chi è il giustiziere? Il tuo fidanzato dice che si tu. Tu che me dici?” Lo sguardo della ragazza è indecifrabile, buca lo stomaco eppure è vuoto. Vuoto come nessuno sguardo dovrebbe essere. “E quelli non volevano capire io li avevo denunciati ai carabinieri mi volevano tenere chiusa in casa io volevo andare a vivere co’ Massimo. Lui mi ama”. “Commissario, Massimiliano Del Prete 19 anni, piccoli precedenti per spaccio una cosa sospesa, qualche furto…” “è, nu’brav uaglion insomma” Il commissario si schiarì la voce… La ragazza guardava lui e i suoi occhi di ghiaccio e la bocca della donna, la spalla di quello, che teneva i fogli e pensava di sapere tutto. Non sapeva che una volta Massimo aveva preso un sacco di mazzate dal padre quando aveva detto “è mia, me la prendo e me la porto via”. Non sapeva che si poteva tenere dentro tanta di quella rabbia da non sapere da dove farla uscire, e che nessuno ti sapeva guardare come lui. Pure se qualche volta aveva fatto delle cazzate, lui giurava sempre che non lo faceva più. Pure quello schiaffo quella volta quando alla festa aveva guardato Pasquale. Lui giurava, giurava sempre che non lo faceva più. E quelli non capivano e allora bisognava farli mettere paura. “Noi li volevamo spaventare non volevamo fare niente di male”.
Ma come si poteva andare in giro armati a quest’età, ma che stava succedendo alla gente? ma che stava succedendo a questi ragazzi? Ma perché Marco non c’era più e sua sorella gemella pure che tanto ormai stava solo rinchiusa nella sua stanza e usciva solo per mangiare. “Tu mi devi dire di chi è la colpa. Solo questo voglio sentire.” “E che vi devo dire, mio padre ci minacciava è partito un colpo”. “Signorina non è partito un colpo solo, il tuo fidanzato teneva un arsenale nel giubbotto, e ha sparato tre colpi e sai che c’è? Dice che sei stata tu a dire –Spara, spara -”. Il sangue andava e veniva e la tempia pulsava che sembrava volesse esplodere, e più la ragazza era impassibile più la sua rabbia saliva. “Uagliò tu non ti rendi conto che qua sono minimo minimo trent'anni. Omicidio e tentato omicidio. Premeditazione e tuo padre in coma, se muore i morti salgono a due vuje stat nguagliat vi conviene dire le cose come stanno” “Commissario. Commissario” … Anna Del Buono teneva le spalle dell’uomo che sembrava voler saltare al collo di quella ragazza, occhi bianchi di niente, nel vuoto. “E che volete fare vi arrestiamo pur a voi per tentato omicidio del teste? Andiamoci a prendere un caffè forza…”
Nel commissariato la folla di sempre, distratta di sempre. I pensieri non erano quelli di sempre. “Del Buono lei mi deve spiegare come si può pensare di uccidere due genitori perché non sono d’accordo con te. Due genitori che ti stanno vicino, che ti crescono, che vogliono solo che tu stai bene che sei felice e tu che fai? Ti compri una pistola o la fai comprare a un delinquente qualunque e li fai togliere di mezzo…” “Commissà lei cosa vuole sapere esattamente?” La donna era al fianco di quell'uomo da dieci anni sempre accanto un passo indietro, a guardargli le spalle, spalla spalla quando sembrava che lui perdesse il filo. E adesso Anna lo sapeva che quell'uomo stava perdendo il filo. Da quando Marco non c’era più il filo era in realtà spezzettato e irrecuperabile, ma sapeva che c’era la volontà, anche se certe volte non bastava. Non bastava prendersi a cuore tutte le storie che passavano per quelle stanze, non bastava correre tra i vicoli a cercare di recuperare, salvare, era Marco quello che lui voleva salvare, e adesso non poteva più, e lui restava e non era l’ultimo a potersi o dolersi salvare. Restava una moglie che non parlava più e una figlia che era diventata trasparente. “Lei pensa che non esiste la cattiveria? O che tutti hanno il diritto ad un’altra possibilità…”
Lui la guardò senza vederla, strinse il bicchierino tra le dita distratto. “In realtà lo pensavo un tempo. Poi ho capito che non abbiamo sempre una seconda possibilità”. Alzò le spalle e non si voltò “mettiamoli difronte, magari si parlano, si schifano, si decidono, e ce ne andiamo a casa” si sorprese a dirlo, si sorprese a pensarlo e a pensare di voler tornare a casa, solo a casa, e tirare fuori le due donne che erano rimaste nel limbo del dolore, da sole senza di lui. Massimiliano Del Prete era un ragazzone alto snello con le braccia tornite, la testa rapata e una decina di tatuaggi sulle braccia. La faccia da ragazzino e lo sguardo da boss, di quelli che si vedono sui giornali che in faccia a un ragazzino stona che pensi che in realtà non è che una posa. “Io non pensavo che avrei sparato veramente.
Io pensavo che quello mi voleva venì addosso. E lei diceva “spara amò spara”. Me ne aveva dette tante commissà, io me la volevo portare a casa. Non pensavo che avrei sparato è stata lei mi ha fatto il lavaggio del cervello chella stronz’ m’ha nguaiat’” Il gesto del commissario verso la sua seconda voleva dire “vai a chiamarla” e la donna si mosse senza bisogno di parlare. I due si trovarono difronte e difronte da soli, difronte ad una cosa più grande di loro. Lei guardava le unghie e non alzò la testa mentre senza lacrime disse “Amò, dillo che sei stato tu, poi alla fine che ti daranno? Se è legittima difesa?” Una bambina, una bambina cretina, pensava il commissario nella stanza accanto. Non come Lucia, Lucia sua figlia, la gemella di Marco. Lei sì che aveva la testa sulle spalle, se non fosse per quel tipo che le stava dietro. Si è messa in testa di stare con uno assurdo, con quei capelli lunghi, uno dell’accademia che a vederlo sembra un barbone, mai… Alzò la testa, il commissario, e pensò che si, non si somigliavano le due ragazze, ma forse avevano tante cose in comune troppe cose in comune e forse anche lui, non aveva voluto ascoltare, anche lui non c’era quando serviva.
Pensò che certi figli li metti al mondo gli dai cose su cose e poi li lasci soli a decidere e ti presenti solo per dire due o tre no, e basta. Sparisci e poi arrivi e fai tabula rasa. Questo no, quello non mi piace. Capì che quello era un ingranaggio bastardo, perché in una minuscola parte del cervello insinuava ragioni dove in realtà non ce n’erano. Non si può aver ragione non si può giustificare un omicidio per colpa di che? Dell’assenza, della non curanza, del disaccordo? E poi dov'erano i disaccordi quando non si parlava nemmeno più. E ancora una volta pensava a se stesso… “Amò devi dirlo che è stata colpa tua” Diceva il ragazzo guardandola dritta negli occhi. Lei pianse per la prima volta da che era lì. E chissà se piangeva per la madre a terra in un lago di sangue, per il padre rincorso come un cinghiale da abbattere, o solo per quell'amore che adesso sfuggiva… “Ma tu avevi detto che mi amavi…Guardami amò ma tu mi ami? Io volevo vivere con te io voglio fare i figli come Angela e Andrea che ...” “Chi? Quella amica tua che c’ha il ragazzo che spaccia? E bella fin’” “La verità è che abbiamo fatto una cazzata. Una grandissima cazzata e va a finire che se stiamo ancora vicino finisce che ci ammazziamo tutt'e due” Dall'altra parte della stanza dal lato diviso dalla parete due ascoltavano guardandosi ogni tanto.
Qualcosa prendeva forma o forse non ancora. Tempo ce n’era. “Un caffè ho capito” la ragazza uscì veloce il commissario guardò fuori oltre i vetri una città che faceva sera e s’accendeva di rumori. La nebbia si era stesa sull'asfalto e aspettava di tornare. “Commissà vuole parlare con lei. La ragazza” SI alzò un uomo stanco che sembrava più piegato su se stesso di altre volte. “Forse ha capito…” pensò. “Io gli volevo bene ma quello è una merda. Io però lo perdono, lui non voleva, lo so. Ma voleva stare con me e allora dovevano farsene una ragione quei due.” Quei due. Restò nell’aria come l’odore del caffè inutile della macchinetta. Non aveva capito niente. Tutto inutile tutto vano. “Però una cosa sola commissà, quanto gli danno? Che magari io non lo so se aspetto quando esce. Io non lo so se ci vado a vivere con lui, io faccio le mani sapete, e c’è Pasquale che fa il ragazzo del bar, quello dice che mi sposa…” Il commissario si stropicciò gli occhi per cancellare tutto. La volle fuori “ci penso dopo mo’ però portatela di là”. Alzò il telefono improvviso. “Pronto? Pronto tesoro sono papà tutto bene io volevo solo dire che, dici dici a mamma che torno presto ok? E ce ne andiamo a mangiare una pizza. E sì vabbuò porta quel barbone per stavolta. Io niente io ti voglio bene ok?” Le luci della sera illuminavano strade distratte, gialle calde nella serata fresca ad aspettare vite su vite che sarebbero passate e passate ancora. Gente distratta, vite disfatte, vite ritrovate. Un altro giorno era andato steso come panni stesa in attesa di un altro sole dietro la nebbia. Tornerà il sole mica è la Val Padana…
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