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23 Aprile 2016
Il vento che è passato tra di noi
di Stefania Castella



Il vento che è passato tra di noi
scrittura poesia evocazioni

Il tradimento. Credo sia stato il filo conduttore della mia vita. Ma non dovrebbe lasciar intendere nulla di troppo amoroso. Il tradimento quello fondamentale, quello più insopportabile di tutti, premette forte sulla mia vita credo da sempre, proprio quello per cui si respira, la vita stessa. Quella sì, più volte mi tradì. Il vento gelido qui a nord, tramuta tutto, i pensieri, i ricordi, torno un solo attimo, o forse per sempre. Passa tra le mie ciglia la risata lieve del dolce amore a cui avrei affidato volentieri la mia vita, stanca, principalmente stanca.

 

Stanca di lottare, lasciatemelo dire, come un uomo.

Come un uomo avrei dovuto scrivere, il nome di un uomo ho dovuto spesso usare, la forza di un uomo per sopportare il peso della sofferenza, della fatica di perdere mano a mano l’affetto di mio fratello, le mie sorelle. Il ricordo di una madre. Solo quel talento mi restava per lenire le ferite, lo sfogo da raccogliere e poi cedere a mani piene, rinunciando a tutto, tutto quello che la morale del mio tempo mi avrebbe imposto. Essere una buona madre, una brava massaia, una donna con la forza di un uomo. Ancora un uomo, quanti ne ho rifiutati, chiudendo i desideri in un baule portandoli lontano, via, da questo vento gelido, per rincorrere città e l’illusione libera di quell'indipendenza che mi spettava. “Sveglia” ve l’avrei detto ancora mille volte, se non avessi poi cambiato direzione, colpa di uno sguardo su cui posavo il mio sguardo, e solo perché quello era il momento giusto. Amare ed essere ricambiati non è una matematica alchimia, casuale…

 

Ma forse il destino ci destina. Forse. Io e lui eravamo stati accanto a noi, tante di quelle volte che a pensarci, quanto di quel tempo si è sprecato. Cosa ne rimane? Lettere d’amore, ricordi che volevano seppellire il dolore. Dolore, seppellire non è certo quello che vorrebbe chiunque, ma anche questo c’era scritto nel destino, che la casa in mezzo al nulla e il verde in cerchio, fosse a poco più di un passo dalle lapidi affiancate. La vita, la morte, ha viaggiato a fianco a noi, per tutta la durata della vita. Lui, l’unico maschio perso tra il bicchiere e l’oppio, io e lei dolce sorella sopravvissuta accanto, per così poco, uniche donne, piccole donne ferme e in bilico a resistere. A tutto resistemmo, la fame, il freddo gli stenti, oltrepassando quel giardino di informe verde, le finestre come occhi di malignità a spiare, a tutto quanto resistemmo, meno che al richiamo della terra che ci aveva viste crescere. “È qui che torneremo” ci dicemmo, e qui tornammo.

 

Ricordando insieme il vento tra i capelli delle folli rincorse, correre più forte, senza tregua, senza età. Piedi scalzi come non si confà, e non ci importava dei rimproveri di quella zia che il posto della mamma aveva preso. Il cuore zingaro non distingueva ciò che era giusto fare, solo per il torto di essere femmine. Essere come nostra madre, piegata al riparo matrimoniale, dispersa nel tormento della malattia. A che serviva nascere, vivere e poi morire come lei, senza mai aver vissuto veramente? Essere come le zie, grembiule intonso a preparare per i maschi di casa.

 

Noi impavide sorelle no, volevamo di più, eppure in fondo quando al mondo l’eco di poesie e storie raccolte si allargava di città in città, potevamo dirci soddisfatte. Ma mi aspettava ancora il tradimento, e persi pure lei. E guardai dritto in faccia quell'inganno, come il retro di uno specchio nel quale riflettevo. Lo scrivere liberatorio che diventava trappola. Il racconto della vita riversato a gocce di lacrime sul foglio. No, non mi liberava più quella scrittura. Sono pronta a diventare madre, a diventare moglie a gettar via le carte e maledire la sorte di non avere sangue del mio sangue a raccontare tutto.

 

Ora sono stanca, ho quasi scritto tutto ciò che avevo dentro, il sogno di gridare. Adesso che ero pronta ad esser madre, vorrei tornare ancora a quei prati falciati dal profumo di gelate senza tempo. Riportare alla vita ciò che ho perso, ma non lo posso fare e forse anche per questo un po’ mi arrendo, mi lascio andare, correremo insieme. Il mondo leggerà di noi e di quando le donne si inventavano il coraggio e fingevano d’esser uomini perché qualcuno prestasse loro ascolto.








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