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RaccontiStefania Castella

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04 Giugno 2016
Di noi tre
di Stefania Castella



Di noi tre
amiche

“Bando alle ciance e dicci perché siamo qui”. La voce di Valeria melodiosamente roca, proveniva dalla sua bocca rosa, piccola perfetta direttamente sulla mia faccia, sbattendo contro il vassoio di patatine, la cola, innumerevoli mozziconi di sigarette, e l’espressione di Stefania imperturbabilmente non-fumatrice da sempre.

 

Eccoci qua, sul divano beige della mia casa beige, mi chiamo Sara ho quarant’anni, una vita da moglie-madre-chioccia prima, una da aspirante-indipendente-lavoratrice scrittrice, editor (che fa più figo) da poco. Loro distese, sprofondate tra i cuscini, le mie due amiche di sempre, dal primo giorno del primo anno delle scuole medie, ad oggi. Stefania, una laurea in scienze della comunicazione infatti ha cinque figlie (femmine) e fa l’insegnante d’asilo, Vale laurea in veterinaria infatti ha un negozio di abbigliamento per bambini, che non soffre troppo (i bambini soprattutto) io, laureata in infermieristica, infatti… “Cioè fatemi capire, una non può avere voglia di passare un po’ di tempo a chiacchierare che…” evitavo di incrociare lo sguardo di Vale, che già sapevo, puntando la dolce espressione di Stefi, bella come una scultura, due verdi fessure dalle lunghissime ciglia e un sorriso enorme, il fisico praticamente uguale adesso come a vent’anni, la più dolce, la più posata tra noi. Lei era quella che restava il sabato pomeriggio in casa ad aiutare la mamma con le faccende, mentre noi due selvagge scorrazzavamo in giro in motorino.

 

Le amavo, infinitamente, come si può amare la carne della propria carne, come sorelle, forse di più.

“Amore”. La Stefi approcciava sempre tutto con dolcezza, come se parlasse costantemente coi suoi bebè a scuola. “Non è che non ci fidiamo della tua telefonata tempestiva- allarmata, è solo che non ci vediamo da tre mesi, da prima dell’estate e così, di punto in bianco… È successo qualcosa?”. Vale nel frattempo maneggiava un grosso tomo più grande del tavolino. “E questo cos’è? Storia della fotografia… Ammazza! Ho capito, hai deciso di mollare cronista d’assalto, prendere la macchina e sparire nel Burundi a fotografare la savana. Michele Daponte 20 aprile 1943…” Guardava la faccia dell’uomo sulla copertina in bianco e nero, sembrava provenire da un set di Sergio Leone.

 

Testa imbiancata, barba brizzolata, uno sguardo profondo e attraente. “È solo un libro per cui ho fatto da editor”. Vale mi scimmiottava imitandomi, sostenendo che mi piacesse molto sottolineare la mia nuova editor-identità. In quanto a cronista d’assalto, si riferiva a mio marito Paolo inviato di un quotidiano locale. “Non è più cronista d’assalto ma giornalista sferzante, l’ha sentito alla tele l’ha fatto subito suo. Non c’è, torna tardi, come sempre. Ormai lo avete capito no, facciamo praticamente vite separate, ognuno la sua. E…” E Stefi mi rivolgeva il suo sguardo più dolce. “Si me lo avevi detto che praticamente tra voi due…” Accennò un movimento di mano per intendere –Non c’è niente, ma niente- sotto lo sguardo attento di Vale. “No no, non mi date dettagli della vostra vita sessuale che vomito”. “Non ti do dettagli di niente, e grazie per la sensibilità, comunque la cosa è abbastanza grossa.

 

Bè io, credo di, insomma aspetto un bambino”. Lanciata la granata attendevo gli effetti della deflagrazione e i resti che avrei raccolto dal divano. Naturalmente prevedibilissimi. Vale non si scosse troppo, mentre Stefania si spinse verso di me. “Oh mio Dio, ma che dici? Un bambino è sempre un dono del cielo. Sì”

“Sì certo infatti, cos’è un miracolo? Un dono del cielo, tralasciando il particolare che sarebbe il pupo di una quarantenne con figlio adolescente e marito inconsapevole… Da dove proviene la creatura?” Valeria naturalmente era andata al sodo. “Bè tre mesi fa, lavoravo alla presentazione di un libro, e così, l’assistente dell’autore, mi ha dato una mano…”

 

“E mi sa che ti ha dato più di una mano…”

 

“Non essere cinica, Vale, una debolezza può succedere. Dì ma com’è?”. Ecco solo tra amiche può succedere di avere quarant’anni un marito che non ti sfiora da mesi, ritrovarti incinta di un tipo e sentirti chiedere prevalentemente: Ma com’è lui? “Oh è bello, Ste”. “Bello come? Come Paolo?” Valeria guardò Stefania con aria incognita. “Bello secondo i suoi gusti Ste, tipo Davide che era una specie di troll, o Emanuele con i peli ovunque tranne che in testa e…”  Mentre ne discutevano cercai una foto al cell, per mostrare loro la faccia di Matteo. “Uau, una faccia da attore…” il primo commento di Stefania. “Ma che c’ha nemmeno trent’anni. Cazzo, Sara. Sei sempre la solita testa di c…” Inequivocabile Vale.

 

“Tesoro, faccia d’attore dovrebbe saperlo”. “Si certo dì a faccia di attore che a nemmeno trent’anni è diventato padre di una creatura con madre testa di cazzo che s’è presa il dito con tutta la mano. No, ci vuole un piano. Dico di stordire giornalista sferzante, farlo bere, brindare un po’. E via. Oppure nascondi tutto e quando nasce lo dai a Ste, tanto con tutte quelle che ha, uno in più…” La guardammo entrambe senza dire niente… “Sei cinica, Ecco che sei”. L’ultima parola di Stefania. E uscimmo al balcone a prendere aria.

 

“Miche’ entra e smetti di fumare che mi appesti i gerani”. La signora Amalia ciabattava per casa con cordless attaccato tra mento e spalla. Michele Daponte fumava una delle sue, godendosi lo spettacolo delle vele sull’acqua. “Sai che mi ha chiamato la signora Adele, ti ricordi? Quella della villetta a Positano, dice se ci torniamo, che l’ultima volta le è dispiaciuto non vedermi. Ma se so’ tre anni che non ci andiamo…” Michele Daponte controllò una boccata di fumo che quasi lo strozzava, contenne un risolino isterico, e tornò a guardare il mare. Positano, libro, presentazione, tre mesi prima. Sorrise senza farsi vedere.

 

Chiamare Matteo, il pensiero rimbombava, l’avrei dovuto fare prima dell’arrivo di Paolo, non pensai. Agire, chiamare e lasciarsi ispirare. “Matteo, volevo, solo sentirti” E dirti, sono incinta, cazzo, lo so che sei giovane che è stata una cosa così, però… “Senti, ma ci pensi mai al futuro?” “Al futuro? Si, magari mi prendono fisso alla casa editrice”. “Ma no, intendo matrimonio, figli...” “Matrimonio, figli. Sara, è per questo che stiamo così bene io e te… Lo sai che con la mia ragazza non funziona per quello. Lei pensa solo al matrimonio, ad accasarsi. Tu invece, vuoi me e basta, senza un fine, senza uno scopo”

 

-Bastardo-.

 

“E poi valle a spiegare, che da quando ho subito quell’operazione figli non ne posso avere...”.  Sentii la testa rimbombare. -Figli non ne posso avere-. Mi veniva da ridere e da piangere. “Adesso devo riattaccare scusa, ci sentiamo …” Dovevo uscire, dal cesso, da quel momento, e da casa. Dovevo comprare un rosato. Assolutamente. Paolo rientrò intorno alle nove, la tavola era imbandita come mai da mesi. “Ho fatto il risotto. E messo il vino in fresco” Lo vidi sorridere, come a guardarlo per la prima volta. Spensi il riso mentre il suo bacio mi sfiorava il collo. “Fabrizio, cena fuori, siamo soli…” E il telefono lampeggiò il nome di Vale. “Mi sbrigo subito, tu mettiti comodo…”

“Cara la mia mammina, allora? Hai parlato con faccia d’attore? …C’è un dettaglio che mi è sfuggito”

“È sterile, faccia d’attore, non può avere figli”

“Lo sapevo! Il dettaglio Sara, quanti mesi?”

“Quanti mesi? Che ne so, due no, aspetta secondo i calcoli quasi tre”

“Tre, e dov’eri tre mesi fa?”

“A Positano alla presentazione di un libro”

“1943…”

“Si.”

“ …”

“Adesso scusami ho una bottiglia in fresco la devo tirare fuori. Assolutamente. E poi dai, un bambino è sempre un dono del cielo, no?”

“Assolutamente. Sara…”

“Si?”

“Sei sempre la solita testa di...”

“…”








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