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20 Agosto 2016
Un Segreto
di Stefania Castella



Un Segreto
Segreti e silenzi

“Lo sai tenere un segreto Sabè?” Si che lo so tenere un segreto. L’ho tenuto per tanto tempo e mi sono fatta più di vent’anni dentro per colpa di quel segreto. Il tempo passa se stai fuori a vivere la vita, a vivere. Per me sono stati anni lunghissimi, enormi, pesanti. Come i passi della guardia che veniva la sera a trovarmi. Quella che per un pezzetto di cioccolato, una sigaretta si faceva pagare, caro. E soldi dentro per le ragazzette come me, non ce ne stavano. Ci stava solo la puzza, il sudore.

 

L’eco del mare fuori, da dietro le sbarre, l’unica voce del mondo vivo, tutta la forza del mondo non le poteva piegare. Io ci credevo un tempo di avere tutta la forza del mondo, quando avevo 15 o 16 anni, e il mondo era mio. Era la passeggiata tra i vicoli fino al mare, lo sento il vento sulle gambe, le mie gambe bellissime, quante teste facevano girare. Se fossi stata dentro, forte come quando ero fuori, o forse ero io a credermi forte e invece…Le dita che avrebbero strappato quelle sbarre, le stesse dita che ti passavo tra i capelli. Che belli i tuoi capelli Luigì. Luigi Cammarata. Tieni gli occhi come il mare. Belli, trasparenti, ma pure il mare può far male, sa ingannare e ti rigira e poi ti ingoia in un vortice e ti ammazza che nemmeno te ne accorgi. Muori dolcemente. Tenevi trent'anni e passa quando ti ho incontrato, e la faccia di uno che sapeva il fatto suo. Però tenevi anche una donna accanto a te, una moglie dalla faccia stanca e l’aria da signora.

 

Ci siamo incontrati quando a casa mia si metteva a tavola o il pranzo o la cena e nemmeno tutti i giorni. Mi hanno spedita a lavorare a casa dei signori, e chi l’aveva mai vista una casa così. Coi soffitti così alti che la testa mi girava, quegli stucchi, quei tappeti grandi come tutta la mia casa. Nel salone, il divano di velluto ti faceva venir voglia di restare tutto il giorno a carezzarlo che a casa mia le sedie di legno e il divano sgangherato ti lasciavano segnacci sulla schiena. Avevo solo quel vestito a fiori e con quello sono entrata a casa tua. Casa dei tuoi per meglio dire, con tua madre che non si vedeva il viso tanto luccicavano i gioielli che portava intorno al collo, alle orecchie, mi pareva la Madonna della Chiesa qua vicino. “Piccerè ci sta da ripulì tutto il salone” mi ha detto senza neanche salutare. E io ero felice, spalancavo le finestre facevo entrare il sole, battevo i tappeti, canticchiavo, vedevo il mare da quei balconi enormi. Mamma mia, mi sembrava il Paradiso, e poi sei arrivato tu. Hai allungato gli occhi su di me che non ero che una bimba scema.

 

La donna dietro te, non ci badava, non ha mai alzato un sopracciglio al mio passaggio, io sorridevo a tutti pure a lei, tu invece a nessuno, solo a me. E ci è voluto poco a credere che si potesse fare. Che una ragazzetta poteva stare affianco ad un signore, magari a fare quella vita bella…Le vacanze al mare, il giardino di rose dove passavi il tempo a leggere libroni e le riviste con le dive, dicevi: “Guarda un po’ questa e quanto ti somiglia Sabè” e io ci credevo, ci credevo veramente, che Isabella Santorino un giorno forse…

 

E m’hai convinta. E nella casa, azzurra e bianca, quella delle tue vacanze, in quella stanza che guardava il mare, tu guardavi me. E il mio vestito a fiori scivolava al pavimento, mi son fidata di quell'abbraccio, il primo abbraccio, credevo non l’avrei mai perso. E poi mi hai detto: “Lo sai tenere un segreto Sabè? ... Io a quella mica la volevo, me l’hanno messa dietro i miei, che il padre è uno importante e per la mia famiglia lo sai che cosa conta. Ma se tu vuoi come io lo voglio, tu mi devi aiutare. Se la facciamo fuori, ci prendiamo i soldi e ce ne andiamo. Vedrai saremo felici”…  Ci ho creduto come credevo a tutto, come credevo a te. Ho aspettato, sistemato. Mentre tu stavi in giardino io dovevo chiudere a chiave la sua porta e farle fare la morte dei topi. Avrei lasciato fuori e tutt'intorno quella roba che mi avevi dato e poi… “E poi ti accendi una bella sigaretta e ti allontani un poco, butti a terra il tuo cerino e mi raccomando scendi in fretta che ti aspetto”.

 

E sono scesa in fretta ma qualcosa è andato storto. Ho sentito battere alla porta come un’indemoniata e l’ho sentita scendere le scale ma ho chiuso dietro me il portone grande e dalla porta a vetri ho visto le sue mani che s’incollavano nel fumo e diventavano più scure e mi sembrava un film. Ti ho chiamato mentre lei scivolava più giù ti ho chiamato forte e tu non c ‘eri, sei arrivato poco dopo con quei due, sembravano carabinieri, e con il dito puntato su me dicevi: “È stata lei, è stata lei. È pazza…” E mi hanno presa per le spalle e mi hanno sbattuta come un sacco nel buco di una cella dopo un anno di processi. E a diciott'anni la mia candelina l’ho spenta su un piatto di purè che pure ai topi gli faceva schifo. E mentre io scontavo la mia pena che non era solo colpa mia, il tuo segreto lo tenevo stretto e intanto dentro covavo matasse di dolore, e sete, una sete che non si colmava mai. È nata lì Teresa pochi mesi dopo e in quello schifo se sopravvivevo era per lei.

 

E se non mi sono perduta appesa ad una corda, era per lei. E l’ho fatta studiare e l’ho mandata dalle suore, e lei è cresciuta e ha gli occhi belli. Studia da infermiera e adesso che da poco sono fuori, mi porta le riviste e resta accanto a me in questa casa sgangherata che ho trovato. L’aria è buona e la sete è ancora viva. Oggi si placherà. “Mamma ti ho portato dei giornali. E le tue analisi. Stai bene” “E lui? Come sta?” “Ci siamo quasi”  Luigi Cammarata è un gran bell'uomo ancora, ha passato i sessant'anni, ha qualche acciacco, qualche problema al cuore. Succede se sei troppo preso dalla vita. Soldi, donne… troppa vita, bella vita. Quando è arrivata la ragazza a far le pulizie qualcosa gli è sembrato familiare. Lei sa far tutto pure le punture, è un’infermiera, può servire, per il cuore che traballa…

 

Per tenere a mente le compresse quelle da dosare bene. E che strano che così di punto in bianco sembra quasi un’influenza, sembra quasi peggiorare quando lei esce da casa. Forse sarà anche per il troppo caldo. “Ma che roba è che mi fai sempre? Io non ci trovo beneficio, anzi sento che mi manca l’aria. Teresa vieni qua dammi una mano, Teresa manca l’aria, non respiro…Teresa… Ma perché…  Perché?” …

 

La giovane infermiera avvicina un po’ la faccia, ha gli occhi trasparenti come i suoi, lo stesso naso dritto e impertinente, lo sguardo fiero fermo tra le ciglia, le labbra a schiudersi in un soffio: “Lo sai tenere un segreto Luigì?” …








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