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04 Marzo 2017
Quel veleno dolcissimo
di Stefania Castella



Quel veleno dolcissimo
labbra.

No lì no. Lo scriverò da qualche altra parte. Per non lasciare tracce. No così no, se lo lascio scritto su un foglio non mi resterà che guardare e guardare per tutto il tempo che mi resta. Lo scrivo a mente che “ti lascio, me ne vado. Non sono quello che credevi, ma di più, non sono quello che credevo”. Quando ci siamo incrociati certo non esisteva altro che noi due. E quello è stato l’errore più grande non lasciare spazio a nient’altro che non fosse un respiro che passa per due parti. Opposte. Niente di più sbagliato, credere che senza, manchi ossigeno. E adesso che ho voltato la testa e scopro che sì, che posso respirare anche senza di te. Che ne sarà di noi?

                                                                                                       ……

-Rispondi? -

-No.-

-Rispondi a quel telefono maledetto che altrimenti non smetterà di suonare…-

-No, non mi va-

-Posso sapere almeno che significa? -

-Significa, cosa? Che per una volta Anna e Fabio non sono insieme, non camminano insieme? Non sono venuti a prendere il tuo caffè (che neanche fai bene) insieme? -

-Oh se ti grano puoi dirmelo. -

-Non mi girano, sono io che giro. E giro una volta per tutte-.

-Vi state lasciando? Emerita testa di cazzo mi stai dicendo che il tuo matrimonio pieno di stelline e cuoricini vacilla? Che due figli dopo, le vacanze insieme, i Natali a scassare la minchia perché niente vi poteva separare vi state incrinando? -

Ecco. Spiegare a chi ti conosce da quando sei nata che il tuo matrimonio ventennale portato a paragone mistico da tutti i tuoi amici è al limite, è la parte più dura da affrontare, quando accade. E accade. Pensi di essere diverso dagli altri, di essere speciale, due spanne più su. Poi accade. Che ti accorgi che no, “l’insalata non mi piace come la condisci tu”. Che “non sei capace di sturare neanche un lavandino”, che no, niente è più sopportabile come vent’anni prima

. -C’hai un altro-

-Ma che c’entra-

-Se non c’è un altro nessuna si prende la briga di stare a guardare come ti stura il lavandino di casa. Te lo dico io. –

-E vabbè e se pure fosse? -

La faccia di Maria non aveva bisogno di traduzioni pensieri-parole. Le amiche carpiscono prima di noi, se sono single, ancora prima.

-E che farebbe questo tipo? No perché quando hai finito di esporre le tue tre o quattro cose insulse, io uscirei da questa casa che mi sta levando l’aria-

-Che fa… Fa cose-

-Cose cosa? –

La faccia di Maria ora aveva qualche segnetto in più, indicazione di totale irrefrenabile curiosità.

-Fa cose, bellissime-

-No ferma un attimo. Non voglio nessun dettaglio scabroso. Non lo reggerei- Chiaramente l’amica ventennale non prendeva sul serio nessuna delle mie espressioni né facciali né linguistiche.

-Non le fa a me, le fa e basta-

-Come sei criptica. Che fa? Avanti-

-Fa il pasticciere. Ma non il pasticciere normale. Io non lo so cosa c’ha ma non ce la faccio a pensare a nient’altro. Tutto è cominciato quando sono andata a prendere certe cose che mi servivano per una festicciola a scuola della piccola, mi hanno detto -vai lì, è nuova, è una pasticceria che fa cose così originali-. E io ci sono andata. E ci sono andata quel giorno e ci sono tornata tutti i giorni per un mese. E lo intravedo ogni volta così’ bello, con quello sguardo così profondo. Mi ricordo quando l’ho visto la prima volta, mi ha detto “Prego le faccio assaggiare la mia specialità”. Io non volevo, ma poi che ne so, mi ha preso quello sguardo, due occhi così scuri, lui guardava me, io guardavo lui e così…-

-E così’ hai assaggiato-

-Non essere mal pensante. Ho assaggiato quel dolce così morbido che si scioglieva, la crema non sapeva di crema, sembrava latte, sembrava una nuvola…-

- Si certo. E così il bel pasticciere ti ha rubato il cuore, lo stomaco e il portafogli…-

- E che vuoi farci, succede. Faccio una corsa ogni mattina per arrivare presto, per vedere da un angolino il laboratorio e vedere quando si concentra e …-

-E ho capito andiamo a vedé l'artista del dolciume da vicino-

Uscire col cuore in gola e sapere che l’avrei visto ad un orario insolito col batticuore come a quindici anni. E il pensiero che correva già, ad un “Io e te a impastare insieme tutto quello che ci viene in mente e…-

-Oh siamo arrivate, sei sulla terra? -

Il quartiere non era proprio il massimo, qualche faccia sconsolata ci guardava da lontano un paio di palloni ci sfioravano mentre imperterrite puntavamo verso la pasticceria.

-Aspè, prima una sigaretta. Che so’ agitata. Come sto? Si vede che ho il lucidalabbra oh-

-Si vede che non sei messa bene ma di testa dico io-

-Ma perché devi smontare tutti i sogni? Ma che te ne fott? E’ il sogno mio vabbè? –

-Terè ma fai sul serio? Tu perdi la testa per uno che non sai, e pensi di fuggire con lui e vivere di sfogliatelle e di babà finché diabete non vi separi? Io i tuoi figli non me li piglio se schiatti di obesità-

Non potevo replicare, detta così non aveva senso. Ma io veramente in un mese di semi-conoscenza ci avevo perso il sonno.

-Andiamo va’. Almeno mangiamo qualcosa- La vetrina era una bella lucida tentazione il profumo che arrivava dall'interno, inondava tutta la piazza. Entrammo dritte dritte verso il centro di quella meraviglia, puntando a un tavolino laterale. La mia bell'amica si sedette in posizione studio-zona, io di lato per non rischiare di arrossire troppo a vista.

-Guarda là, quelle palline, le vedi? quelle sono il paradiso- Io indicavo con il dito certi piccoli incanti di zucchero a velo ben distesi dietro al banco. E voltandosi anche lei non poté non spalancare gli occhi. E pure io. Ma solo perché lei si stava alzando per andare al banco, attirata da quella bellezza. In quel momento il mio bel tipo uscì e io sentii di spalle che era lui, perché sapevo che doveva essere lui. -Buongiorno bella signorina dica pure. Aspetti prima di parlare le faccio assaggiare una cosa che facciamo, è nuova, le piacerà”. Cercai di restare ferma, immobile e non fu necessario voltarmi, uno specchio attaccato al muro rimandava la mia amica che sporgeva il bel musetto verso lui. Si voltò verso di me con ancora la faccia in estasi e la bocca traboccante di bontà. Non so bene l’espressione che mi venne in quel momento, ma non doveva essere di quelle neutre, perché lei quasi si strozzò a guardarmi. Presi giacca borsa e dignità uscendo senza dire una parola. Lei dietro di me teneva il passo nel mentre ci arrivava voce dall'interno un: “Ma che era amò?” “Niente che ne so, due strane. Sono andate senza manco salutare. Vai a capì la gente”. E mi parve di sentire lo schiocco di un bacio avvelenato che come una spada mi prendeva alla spalle.

- Non dire una parola-

-Non dico una parola-

-Quando hai finito di ingoiare…-

-Ho finito di ingoiare. -

-Se ti sento dire te l’avevo detto giuro ti riporto dentro ordino trenta vassoi e te li metto sul conto-

-Non dico niente. Giuro. –

Fece una lunga pausa che sembrò apnea, ma non resistette oltre.

- ...Solo che pizzaiolo forse era meglio. Lo sai che il dolce a me non mi va tanto…-

Ci scansammo un pallone, mentre lasciavamo il vicolo alle spalle senza nessuna voglia di voltarci.

-Però ci iscriviamo in palestra he...- 

 

 








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