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13 Agosto 2017
Un attimo prima
di Stefania Castella



Un attimo prima
nel mare

L’acqua è fredda gela la pelle, chiudo gli occhi mi lascio andare, mi immergo lentamente, sento che sale alle spalle, al mento. Acqua. Apro gli occhi alla luce che filtra in quel mondo sommerso. E’ qui che resterei. Non voglio vedere, non voglio più sentire: “Sei stata tu”, sono stata io, no, non sono stata io, sono colpevole, non lo sono. Scivola l’acqua mentre apro gli occhi. Un attimo prima. “Nessuno può pensare di attraversare la vita di un altro, senza pagarne le conseguenze”. Mentre lentamente taglio l’acqua immobile compongo momenti, ricordo. Sono stanca, è caldo, è l’estate più calda degli ultimi anni. Scrivo e ogni tanto levo gli occhiali, si appannano mentre tampono il sudore. Nel bar c’è folla, è pieno di gente nonostante sia quasi ferragosto, un angolo a parte per chi usa il pc, per messaggi volanti, per i malati della rete che non schiodano neanche per il caffè.

 

Mia figlia mi tira una manica della camicia, ha lasciato le giostrine: “Ho fatto un disegno per te” lo guardo, le sorrido. Lei la mia piccola ombra. Da quando abbiamo lasciato casa io e lei, per meglio dire lui ci ha lasciate invitandoci gentilmente ad uscire di casa, viviamo in simbiosi, io e lei. Ho cercato di trovare una soluzione che potesse aiutarci a sopravvivere senza chiedere l’elemosina, neanche dei miei. Anni pesanti, ma oggi ho un lavoro e lei è serena, potrei dire di avercela fatta a campare con la schiena dritta, dolorante ma dritta, dolorante dritta e da sola, sola con lei. Ci bastiamo, ci bastavamo ed era tutto da costruire ogni giorno. Ho pensato che mai l’avrei superata, ma la vita ha i suoi margini di miglioramento, la sopravvivenza, mi ha saputa stupire. Guardo la piccola mentre ondeggia nel vestito a fiori, le casca il disegno, svolazza, lo rincorre mi alzo anch’io, un urto, casco maluccio, e penso di aver fatto una pessima figura, intanto che la piccola ritorna col foglio, lui mi aiuta a rialzarmi.

 

“Mi scusi, non l’ho proprio vista…” Sorrido “Colpa mia, seguivo mia figlia con lo sguardo e…” Lui si volta la guarda mentre lo scricciolo ci raggiunge, un attimo prima che io incroci il suo viso “Posso offrirle un caffè? per farmi perdonare…” Accetto, raggiungiamo un tavolino, la piccola ci precede, si siede, sorride anche a lui. Non l’avevo ancora guardato, adesso di fronte, solleva la testa, rimango in silenzio. Sento la voce della bimba che chiede qualcosa ma resto incollata ai suoi occhi, sono neri sono stretti, sono qualcosa che spinge più a fondo. Sento nel tono della sua voce un suono familiare, sento che mi mancava quella sensazione, sorridere e parlare, lasciarsi un po’ andare. “Dove vivi, cosa fai, …” Domande, risposte, tre minuti per raccontarsi una vita. “Separato” “Anch’io” “Sei anni, sì, ha sei anni la piccola” “Io ho un figlio di tredici”. Cose in comune da ridere insieme e occhi che si scrutano. “Ti lascio il mio numero, così magari ci vediamo qualche volta”. Lo prendo lo infilo in borsa, raccolgo foglietti, pastelli, il cell e il tempo che avrei fermato per restare ancora. Mentre ci avviciniamo alle porte scorrevoli mi volto, lo vedo, è perfetto nei jeans scoloriti, camicia ordinata, faccio un passo controvoglia mentre correrei all’indietro, si aprono le porte, la bimba mi tira via, un attimo prima che io opponga altri passi, e sento nell’aria seguirmi il profumo di lui. “Ti voglio bene mamma, resti sempre con me?”

 

Resto sempre con te. Sotto la doccia cancello una giornata di lavoro di merda, qualcosa in ufficio non quadra, strano vociare, sento che vogliono farmi fuori, in questo momento non mi ci vuole una botta economica, sono immersa nell’acqua e nei pensieri, quando vibra il telefono. “Rispondo io che hai la schiuma sugli occhi”, lei è abituata a rispondere alle chiamate, e al lavoro sanno che è lei la mia segretaria. La sento mentre si infila fuori dalla porta, e chiacchiera fittissimo. “Amore” Esco dalla doccia e rischio di rompermi l’osso del collo “Con chi parli?” “Mamma è uno che si chiama Simone”. Simone un flash, ricordo il bar qualche giorno prima, non mi aspettavo di sentirlo così presto. “Ti disturbo? Volevo sapere come andava. Ti rubo solo due minuti …” Restiamo al telefono due ore, tanto che preparo da magare solo per lei, e via a i cartoni senza staccare un secondo, mentre rido, mentre apro una bottiglia mentre fumo una sigaretta mentre assaporo la leggerezza di una sera d’estate boccheggiante. “Ci vediamo una di queste sere?”. Una di queste sere. Simone ha una libreria in centro, lo scopro nelle due ore di conversazione, mi dice dei libri, di suo figlio dei suoi cani, mi descrive dettagli, ne tralascia di altri, di cose importanti. “Passo in libreria appena posso”. Nei giorni a venire lavoro, mi distraggo non ci penso più, finché una sera ricordo di dover raggiungere il centro per delle commissioni per l’ufficio e decido di cercare la sua libreria, chiedo, cammino mi inoltro è una zona che non conosco bene, intercetto la luce, la tabella, capisco che ci sono. Spingo la porta lo sorprendo al telefono sorride a qualcuno dall’altra parte, mi vede e liquida veloce con un “Ci sentiamo più tardi”. “La bimba è con un’amica che dava una festa, c’erano cose da fare per l‘ufficio così passavo di qua…” “Hai fatto bene. Ti aspettavo”.

 

Sento qualcosa nella testa che mi dice di andare il più lontano possibile. Mi chiede “Ti va di salire da me? Abito a due passi, beviamo qualcosa”. Sto per rispondere mentre mi squilla il telefono. Un attimo prima di chiudere la porta a vetri della bella libreria. Moltitudine di libri. Scivoliamo su un bellissimo pavimento di legno, scivola anche la sua mano intorno alla mia vita, la mia mano intorno ad un bicchiere, le nostre gambe tra le lenzuola della sua camera dal letto. Nel buio intravedo i suoi occhi di fuoco, boccate ritmate accendono fiammelle che illuminano il buio, e la sua barba ruvida. Ho paura di quello che sentirò di quello che è il dopo, della sospensione del chiarimento che tocca dopo aver fatto l’amore con uno che a stento conosci. “Io non sono così. Non mi succede sempre di andare a letto con qualcuno che neanche conosco”. “Si vede che anche tu hai avuto la mia stessa sensazione, l’impressione di esserci già conosciuti, una cosa che non si può evitare”. Sento le sue labbra e il suo odore più vicini, è una calamita che non riesco a vincere, mi piace, lo voglio. Fermo le sua mani un attimo prima mentre ancora ansima. “Devo andare, sai com’è, la bimba- Cerco di riprendere fiato- Devo andare a prenderla. Dov’è tuo figlio? Non c’è nessuno e…” Lo guardo negli occhi. “Mio figlio è, con Diana- Abbassa lo sguardo, volta la testa, poi torna su me- La mia compagna”.

 

Sento che mi formicolano le mani, la testa mi gira. “Una compagna? Una compagna, cioè non sua madre, non la tua ex moglie? Una compagna?”. Non riconosco il mio tono di voce. “Io, volevo dirtelo ma non ho avuto modo”. Si alza, cerca del fumo, nudo, lo intravedo nell’ombra, potrei fare qualunque cosa adesso. Lo spingo, gli assesto uno schiaffo, ma lui è troppo più forte di me. Riporta il suo culo impassibile a letto e io cerco i vestiti nel buio e mi fa rabbia la sua indifferenza come se fosse la cosa più normale del mondo, scopare con una e mettere un’altra in stand by. “Puoi darmi due minuti per provare a spiegare?” La sua voce mi arriva alle spalle mentre ho infilato le cose raccattate in giro e veloce raggiungo la porta. Una notte bollente, stanca di caldo e sudore e parole che rimbombano nella testa. Mentre scendono le lacrime sulla faccia, scivola il nero del rimmel e la rabbia fortissima.

 

È notte quando mi alzo ancora come ubriaca con la collera che ancora non scema. Fumo nervosa accendo il pc. Lo cerco. Tra pagine di stupidi social, come non avevo fatto prima e lo scovo. Scruto le foto, scavo nelle frasi, vedo facce, vedo sorrisi, vedo un piccolo giovane ragazzo con i suoi stessi occhi e tra di loro una donna. La vedo e la rivedo più volte, e capisco che è lei. Decido che “Basta non voglio più saperne niente”. E intano piango. Parto con la bimba è un’estate balorda di lavoro che scricchiola di incontri assurdi, di caldo, troppo caldo. Due settimane di felicità semplice, giostrine, teatrino dei burattini, la corte di facce inutili che neanche le vedi. Serate leggere di estate.

 

E lui che ritorna improvviso “Mi manchi se mi avessi lasciato spiegare”. Non riesco a rispondere, non vedo la gente, la folla, non sento le risate. Ritorna di colpo il ricordo, le mani, le braccia, le spalle, il suo odore la bocca sul collo. So che è sbagliato, so di volerlo e non devo “Mi sei mancato anche tu”. Mi fotto rispondendo, non dovevo lo so. “Dobbiamo vederci” “Ci vedremo “, rispondo fingendo distacco e intanto cerco qualcosa di lei tra foto e messaggi e pagine in rete. La guardo, la studio osservo il suo volto, le pieghe di ogni sorriso. Sento quella fitta lancinante che divampa, che solo la gelosia sa accendere. E come mai avrei pensato, penso a lei. Penso a lei, ancora prima di pensare a lui. Mi sveglia un caffè bollente, e penso a quello che lei sorseggia con lui, mi specchio e vedo i suoi occhi, lo vedo abbracciarla, sfiorarle la nuca. E brucio. “Portami il cuore… Disse la strega e il cacciatore...” La piccola dorme sul mio seno, fa caldo, stavolta la favola rimane a metà. Il suo cuore. Non ho mai pensato a tanta crudeltà. Il suo cuore. Non ho mai immaginato che se nella vita esiste un rivale, lo si possa eliminare per sempre dalla vita di qualcuno.

 

Eppure adesso lo penso. Penso di strapparle il cuore, e di infilarci una pietra, di spazzarla via, penso come fosse possibile, che togliere di torno qualcuno significhi avere qualcuno soltanto per sé. Un pensiero lucido, barbaro, assurdo. Sento che è quella la strada di casa sua. Sento che quello è il posto in cui vive. Sento che aprirà fidandosi e mi guarderà interrogandosi. Sento che davanti ai suoi occhi misurerò la distanza, la mia dalla sua, la sua dalle nostre. Sento che le sbatterò in faccia che “Ha scopato con me. E io non ho mai voluto nessuno come voglio lui”. Sento che mi guarderà senza capire neanche quando le stringerò le mani al collo e stringerò più forte e impasterò i suoi capelli lucidi di sudore e sangue quando le squarcerò il petto per tirarne fuori quel cuore maledetto che lo porta via da me. Sento. Se ci fosse un attimo per fermarsi, un attimo solo un attimo prima. “Ho voglia di vederti, di averti ancora qui”. Vedo le braccia di mia figlia slacciarsi dalle mie. Sento passi pesanti che mi vengono incontro. “Ci segua” Dicono. “Sei stata tu? Come hai potuto?” Sento una voce che mi inchioda. Un attimo prima, ci fosse un attimo prima. “Vengo da te, e faremo l’amore mentre l’acqua della doccia ci incolla addosso i vestiti, e ripulisce la coscienza” Un attimo prima forse un attimo prima. “Mi sei mancato. Ma non posso, non potrei, Per favore lascia stare. Torna da lei. È meglio così’”.

 

Scrivo e spengo non voglio sentire. Raggiungo la piccola, sorride, è una serata d’estate. Volerà fino al mattino, quado l’acqua laverà i pensieri, e porterà via il ricordo. Un attimo prima forse, è solo questo. Un attimo prima. Un attimo solo per salvarsi per sempre o affondare. Ancora una bracciata ho bisogno di stancarmi sorrido a quello che sarebbe potuto essere. Ma sono uscita fuori un attimo prima mentre si chiudevano le porte dietro noi e i suoi jeans scoloriti rimanevano incollati al pavimento bollente. Al ricordo di quello che non era stato.








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